La pubblicità, degli avvocati, può riguardare anche le tariffe praticate a patto che il compenso pubblicizzato sia congruo e proporzionato all’impegno qualitativo e quantitativo svolto.A sostenerlo è una recente sentenzadel Consiglio Nazionale Forense, chiamato a giudicare un ricorso di alcuni avvocati sanzionati per aver pubblicizzato le proprie tariffe professionali, che sdogana la pubblicità dei costi dei compensi nel Codice Deontologico, ma con precise limitazioni.
Secondo quanto stabilito, ed anche in riferimento a quanto imposto dalla Bersani, “non può (più) considerarsi contrario al decoro ed alla correttezza un messaggio pubblicitario che contenga tutti gli elementi richiesti dalla norma deontologica e che solo enfatizzi quello del corrispettivo che, tra l’altro, come noto, costituisce un elemento contrattuale di interesse primario per il cliente e, quindi, un elemento fondamentale per un’informazione pubblicitaria professionale corretta e completa”.
Se, quindi, non è più contrario al decoro professionale pubblicizzare il proprio tariffario, promuovere tariffe particolarmente “basse” rimane un aspetto “deontologicamente riprovevole”.
Infatti, attraverso un’altra sentenza (numero 244/2017), sempre il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito “la illiceità dell’accettazione di compensi irrisori, forma di accaparramento di clientela e dunque illegittima”.
Decisioni decisamente importanti per indicare un modo di intendere la pubblicità per le libere professioni, che saranno sicuramente da analizzare nel dibattito sempre aperto nel settore odontoiatrico in tema di pubblicità. Da considerare, però, che per gli avvocati, a differenza dei medici e odontoiatri, il Ministero della Giustizia aggiorna periodicamente i parametri per il calcolo del compenso per le attività da loro svolte, il decreto con l’ultimo aggiornamento è stato pubblicato proprio oggi in Gazzetta Ufficiale.
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