Medico di famiglia convenzionato ma anche dentista: un camice del Vicentino aveva detto alla Ulss di svolgere libera professione solo occasionalmente, ma i giudici lo hanno condannato due volte e la Corte di Cassazione II sezione penale con sentenza 53368 del 28 novembre scorso ha confermato la "truffa aggravata". Il medico aveva dichiarato di lavorare in proprio nel limite di 5 ore a settimana. Le sue dichiarazioni, reputate false in precedenza anche dal Tribunale di Vicenza nel 2016 e dalla Corte d'Appello a Venezia nel 2017, si riferiscono al 2001, quando la norma sulla libera professione strutturata era stata appena introdotta, e al 2008, quando entrò a far parte di una medicina di gruppo percependo le indennità relative: associazionismo, medicina di gruppo, collaboratore di studio e/o infermiere. La Ulss Vicentina affermava che il medico non aveva diritto a quelle indennità, e di aver scoperto - sentiti pure Guardia di Finanza e pazienti (convenzionati e non) - che la libera professione del convenzionato superava le 12 ore settimanali.
A partire dall'Accordo nazionale del 2000, si definisce attività libero professionale strutturata quella espletata in forma organizzata e continuata che comporta un impegno orario settimanale oltre le 5 ore. Il medico che la eserciti deve comunicarne entro 30 giorni avvio, ubicazione dello studio, giorni e orari di attività, prestazioni, e dichiarare che l'attività non pregiudica lo svolgimento degli obblighi convenzionali. In caso di superamento del tetto orario il "taglio" di massimale è pari a 37,5 scelte per ora di libera professione. Chi svolga professione strutturata è subordinato nell'accesso agli incentivi ai colleghi che non la svolgono.
Gli avvocati del medico hanno presentato ricorso in Appello evidenziando sia lo scarso esito dimostrato dalla perquisizione in studio, che non avrebbe dimostrato l'attività organizzata, sia che il medico avrebbe, sul momento, reso dichiarazioni "in buona fede in presenza di un quadro normativo confuso". La Corte d'Appello ha constatato una seconda volta che il medico ha dichiarato il falso cagionando un danno al Servizio Sanitario nella misura delle indennità non dovute erogategli. Nel ricorso in Cassazione gli avvocati sottolineano come la condanna ai sensi del codice penale (articolo 640, truffa aggravata), sia sproporzionata: non si evince un profitto in relazione alla condotta del medico, né è automatico scatti la limitazione di massimale al superamento della soglia delle 5 ore di attività convenzionale previste dall'accordo nazionale. Interessante un terzo motivo d'appello: il medico riceveva i pazienti in libera professione durante l'orario di apertura dello studio, dando per scontata un'occasionalità la cui inesistenza è dimostrabile solo ove i pazienti pubblici e quelli privati siano ricevuti in orari distinti.
La Cassazione replica che la circostanza che il medico ricevesse occasionalmente suoi assistiti nello studio privato non esclude la sussistenza del reato. Dal punto di vista formale, la convenzione impone il limite di massimale automatico a meno che non si svolga attività libero professionale sotto le 5 ore settimanali. Ma, anche qualora l'articolo 58 dell'attuale accordo nazionale non dovesse prevedere l'automatica riduzione del massimale, la condotta posta in essere configurerebbe comunque il reato contestato, poiché il medico in questione ha dichiarato in due occasioni a sette anni di distanza il falso, la seconda volta all'atto della costituzione dell'associazione di medici di famiglia di cui faceva parte, e ha preso gli incentivi; e per i giudici di terzo grado la ripetizione della dichiarazione va a confermare il dolo. Di qui la condanna.
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