Può un odontoiatra non solo curare il proprio paziente ma anche tutelarlo dal punto di vista medico legale come Consulente Tecnico di Parte? A porre il dubbio, anzi a ricordare il divieto, è il dott. Francesco Spatafora (nella foto), Odontologo Forense, citando due articoli del Codice penale: il 359 ed il 348.
Il primo recita: “Agli effetti della legge penale, sono persone che esercitano un servizio di pubblica necessità: i privati che esercitano professioni forensi o sanitarie, o altre professioni il cui esercizio sia per legge vietato senza una speciale abilitazione dello Stato, quando dell'opera di essi il pubblico sia per legge obbligato a valersi; … ”
Il secondo è quello ben noto sull’esercizio abusivo di una professione (non solo quella odontoiatrica). Che cosa derivi dal disposto combinato dei due articoli è chiaro, sostiene Spatafora: “il Paziente è obbligato a valersi dell’opera del sanitario autorizzato, e lo Stato si fa garante, attraverso gli Ordini professionali, della preparazione dello stesso”.
Il dott. Spatafora racconta che, come CTU, talora si imbatte in relazioni di CTP in frasi come la seguente: “la Paziente … richiede di intervenire sia protesicamente sia da un punto di vista medico-legale …” .
Ma può l’odontoiatria che ha in cura una paziente essere anche il Consulente di Parte della stessa paziente?
Per il dott: Spatafora no.
“Il nostro Codice Deontologico– ricorda - al Titolo XI, art. 62 (“Attività medico legale”), recita così: ‘L’attività medico-legale, qualunque sia la posizione di garanzia nella quale viene esercitata, deve evitare situazioni di conflitto di interesse ed è subordinata all’effettivo possesso delle specifiche competenze richieste dal caso’ (primo comma); ed ancora: ‘Il medico, nel rispetto dell’ordinamento, non può svolgere attività medico legali quale consulente d’ufficio o di controparte nei casi nei quali sia intervenuto personalmente per ragioni di assistenza, di cura o a qualunque altro titolo, né nel caso in cui intrattenga un rapporto di lavoro di qualunque natura giuridica con la struttura sanitaria coinvolta nella controversia giudiziaria’ (quarto comma).
Per Spatafora ogni commento è superfluo. “è evidente il conflitto d’interesse tra chi interviene da curante, spesso con piani di riabilitazione impegnativi anche economicamente, e chi - seppur da CTP - deve invece operare “pro veritate”; ed è appena il caso di ricordare che l’art. 43, comma 3, del Codice Penale definisce la responsabilità come vincolo al rispetto dei regolamenti (“Il reato … è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. …”)”.
Il dott. Spatafora auspica che “la sempre maggiore maturità della nostra Professione imponga ormai di porre attenzione anche a questa norma, talora dimenticata, a ulteriore dimostrazione della nostra credibilità”.
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