Durante i primissimi anni di vita, quando i denti possono subire danni legati alla carie anche gravi, difficilmente i bambini vengono portati in uno studio odontoiatrico; in questo periodo l’unica figura di riferimento è in genere il pediatra, che deve valutare il fabbisogno di fluoro anche laddove le Linee guida italiane non forniscono un’indicazione, come per la fascia d’età compresa tra 0 e 6 mesi.
Abbiamo chiesto allora a Riccardo Longhi, direttore del reparto di pediatria dell’ospedale Sant’Anna di Como e membro del direttivo della Società italiana di pediatria, un parere.
Dottor Longhi, come si comporta rispetto all’assunzione di fluoro?
Le Linee guida non indicano se prescrivere o meno la supplementazione di fluoro nei primi 6 mesi di vita perché la letteratura scientifica in proposito non fornisce conclusioni univoche e di conseguenza le indicazioni che i diversi Paesi offrono ai propri medici sono contrastanti; per quel che riguarda la mia esperienza clinica, preferisco iniziare l’integrazione dai primissimi mesi per due ragioni: perché sappiamo che l’acqua in Italia, con l’eccezione delle aree vulcaniche, è povera di fluoro e poi per abituare i genitori a dare l’integrazione al neonato e trasmettere loro l’idea che la supplementazione di fluoro è fondamentale per la salute orale del bambinoNon appena il bambino è sufficientemente cresciuto, poi, preferisco utilizzare le pastigliette che, sciogliendosi lentamente, rimangono più a lungo a contatto con lo smalto.
Dunque non è necessario, da parte del pediatra, fare una valutazione di quanto fluoro assume un bambino attraverso acqua e cibo?
L’unica fonte attraverso cui un bambino potrebbe assumere una quantità importante di fluoro è il dentifricio. La valutazione dell’apporto di fluoro attraverso il nutrimento porta quasi sempre a verificare una situazione di carenza: l’acqua pubblica è povera di fluoro, le acque oligominerali consigliate per i bambini ne contengono pochissimo e la quantità introdotta con il cibo è minima; per questo le Linee guida indicano la necessità dell’integrazione. Per quanto concerne invece le aree vulcaniche, dove la situazione è differente, è compito di ciascun pediatra informarsi riguardo all’esatta percentuale di fluoro contenuta nell’acqua pubblica della zona in cui abitano i propri pazienti: sul sito delle diverse Asl è possibile reperire i bollettini periodici attraverso cui questi dati vengono resi pubblici e fare la propria valutazione.
Ritiene che i pediatri applichino il contenuto delle Linee guida del 2008?
Le Linee guida sono state presentate attraverso numerosi congressi e possono essere lette sia sul sito della Società italiana di pediatria sia su quello del Ministero. Io ritengo che la maggior parte dei pediatri le conosca ma, per quanto riguarda l’applicazione, penso sia necessario attendere dati certi: nei prossimi mesi la Società italiana di pediatria distribuirà un questionario breve ai pediatri proprio per capire se si attengono alle Linee guida e se in questi anni hanno modificato la loro pratica clinica sulla base delle indicazioni ministeriali.
Giudicando sulla base di ciò che vede nel suo lavoro, vi sono ancora molti casi di carie moderata o grave nei bambini?
I casi ci sono, anche se non sono frequenti. Il loro numero è sicuramente inferiore rispetto a qualche anno fa, ma proprio oggi per esempio ho visitato un paziente con i denti distrutti dalla carie; si tratta in genere di bambini a cui vengono lasciati il succhiotto o il biberon troppo a lungo e i cui genitori non hanno informazioni adeguate riguardo a come mantenere i denti in salute.
Io penso che la salute orale infantile sia un ambito in cui risulta evidente la necessità di un approccio multidisciplinare, dove cioè sono necessarie le competenze e l’intervento congiunto del pediatra e dell’odontoiatra. Questo è lo spirito con cui sono stati riuniti gli esperti che hanno partecipato alla stesura delle Linee guida e con cui esse sono state redatte.
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