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25 Maggio 2015

Il dentista vede (quasi) positivo. Dai dati del Servizio Studi ANDI la fotografia della professione e delle aspettative dei dentisti. Preoccupante disinformazione verso la previdenza


Da sinistra, dott. Roberto Callioni, dott. Gianfranco PradaDa sinistra, dott. Roberto Callioni, dott. Gianfranco Prada

Un dentista che guarda al futuro con un pizzico di ottimismo, oppure di rassegnazione, ma che nonostante tutto continua a credere nella professione e per questo investe in formazione e guarda con interesse alle nuove tecnologie.

Questa la fotografia scattata dal Servizio Studi ANDI e presentata venerdì 22 maggio a Rimini durante il Congresso degli Amici di Brugg.

Un dentista certamente provato dalla crisi che sta interessando il nostro Paese da quasi un decennio ma di cui, probabilmente, si comincia a sentire allentare la morsa.

"L'anno appena trascorso e soprattutto questa prima parte del 2015 -ha detto il presidente ANDI Gianfranco Prada salutando i presenti- sono stati caratterizzati dalla volontà della professione di reagire e di rilanciarsi rispetto alla crisi strutturale che l'ha colpita insieme a tutto il Paese. Gli spiragli di superamento della crisi economica determinati più da fattori sia sovranazionali che da politiche italiane hanno avuto il merito di ridare un po' di fiducia alle famiglie e spingerle a tornare ad "investire" anche nel prezioso bene-salute. E questa moderata fiducia si comincia a vedere anche nei nostri studi, nonostante le difficoltà siano ancora tante".

Segnali di ripresa che non possono dare ancora effetti tangibili negli studi odontoiatrici, ha ricordato il Coordinatore del Servizio Studi ANDI Roberto Callioni presentando i dati.

"Come medici sappiamo bene che finita l'infezione l'organismo rimane debilitato ancora per qualche tempo. Così non è pensabile che gli effetti di una ripresa, peraltro moderata, siano immediatamente riscontrabili nei nostri studi. Dai dati raccolti attraverso l'analisi congiunturale abbiamo colto, comunque, da parte dei colleghi un atteggiamento meno negativo, probabilmente in un quadro di consapevolezza del cambiamento in atto".

L'indagine del Servizio Studi ANDI è stata condotta attraverso un questionario inviato online e risulta rappresentativa dei dentisti italiani iscritti all'Albo degli odontoiatri.

Sul fronte dell'esercizio della professione non vi sono,ovviamente, grandi novità rispetto a quanto evidenziato da altre indagini e da quelle già presentate negli anni scorsi dal Servizio Studi, "è una indagine Congiunturale", chiarisce Callioni, "da un anno all'altro non possono esserci delle rivoluzioni".

Il dentista "tipo" fotografato è un libero professionista che nel 77,2% dei casi svolge la propria attività come titolare o contitolare; solo 0,8% è dipendente mentre i collaboratori sono il 22%.

La maggior parte dei titolari (62,9%) esercita la propria attività in un solo studio mentre il 25,4% anche in un secondo studio. Rispetto allo scorso anno sono calati i dentisti (-8,2%) che esercitano la propria attività in un secondo studio, conseguenza di una riorganizzazione in funzione di un abbattimento dei costi. Anche sul forte dipendenti si conferma la caratteristica "ambulatoriale" degli studi odontoiatrici italiani composti prevalentemente dal titolare e dall'assistente. Il 33,3% ha un dipendente, il 26,6% due, mentre a dichiarare di non averne nemmeno uno il 15,5%.

I dati sulle specialità praticate evidenziano come il dentista italiano sia ancora "tuttologo" visto che ogni professionista esegue direttamente 6-7 specialità. Conservativa ed endondonzia (89,2%), protesi (80,4%), igiene e prevenzione (80,3%), odontoiatria generale (76,6%), chirurgia orale (62,4%), implantologia (60,9%), odontoiatria infantile (52,7%), parodontologia (50,8%), ortodonzia (50,6%) le specialità più praticate.

Fanalino di coda due specialità cliniche, gnatologia (28,5%) e patologia orale (21,3%), forse a dimostrazione della vocazione più riabilitativa che medica dei dentisti italiani. Sul fronte differenza tra sessi, come anche Odontoaitria33 aveva evidenziato nella sua ricerca, l'implantologia è decisamente al maschile mentre le pratiche dove ci vuole più pazienza, odontoiatria infantile ed ortodonzia, è sono prevalentemente praticate da donne.

Sul fronte crisi il dato che conferma una, seppure piccola, ripresa è quello che ha misurato i tempo dedicato a lavoro. Il 52,2% dei dentisti ha dichiarato che è coerente mentre il 40,2% ritiene che avrebbe altro tempo per curare altri pazienti otre a quelli già in cura. C'è invece un 7,7% di dentisti che dedicano a lavoro più tempo della disponibilità reale. Rispetto al 2013 a dichiarare di dedicare un tempo coerente al proprio lavoro era il 48,4%.

In prevalenza sono i dentisti in età avanzata (67,7% degli over 65) ad indicare di avere dedicato al lavoro un tempo inferiore alle proprie possibilità, ma questo potrebbe essere influenzato, come ha ricordato lo stesso Callioni, anche dalla scelta dei dentisti vicino alla pensione di lavorare di meno. "C'è anche da considerare -aggiunge il Coordinatore del Servizio Studi ANDI- che con il passare dell'età fare il dentista, lavoro prettamente manuale, diventa sempre più faticoso oltre a richiedere più tempo".

Nel 2014, rispetto al 2013, l'andamento economico degli studi odontoiatrici italiani è stato sostanzialmente invariato (42,3%) con dei piccoli segnali positivi (13,3%).

A dichiarare problemi prevalentemente le fasce di età over 56 anni con lo studio al Centro Italia.

In un arco temporale più ampio, 2010-2014, il dato non cambia: nel 2010 i dentisti avevano dichiarato che i propri ricavi erano rimasti invariati (42,1%) o erano aumentati (12,5%).

Dati sui ricavi condizionati, indubbiamente, dal fatto che dal 2008 i dentisti italiani (59,0%) non aumentano le proprie tariffe, anzi il 30,4% le hanno persino ridotte e questo nonostante gli aumenti dei costi di materiale, attrezzature e gestione dello studio.

Tra le cause indicate per i minori ricavi ovviamente la mancanza di pazienti derivati dalla crisi (74,4%), ma la principale difficoltà dichiarata è stato il peso crescente dei costi per adempimenti e tasse (87,9%), il ritardo dei pagamenti da parte dei pazienti (71,5%) e la concorrenza ma non delle grandi strutture ma di abusivi (47,2%) e dei giovani colleghi (28,4%).

E sul problema della pletora Callioni ha nuovamente auspicato la necessità di rivedere l'accesso alla professione perché "oltre 59mila professionisti (i dati presentati si riferivano agli iscritti all'Albo al settembre 2014, ma sappiamo che al 31 dicembre 2014 hanno superato quota 60 mila) sono troppi".

Cercando di capire come i dentisti si stanno o si sono organizzati per superare la crisi, l'indagine ha rivelato che i dentisti italiani hanno investito nella propria formazione professionale (60,6%), adattato e diversificato le tariffe in base al tipo di pazienti (44,1%), investito nello studio (39,8%), organizzato lo studio in modo più produttivo ed efficiente (39,5%), risparmiato nelle spese dello studio (35%), investito nella formazione del proprio personale (22,5%), ridotto la dimensione dello studio o il numero dei dipendenti (18,7%).

Simili le percentuali per le azioni che i dentisti dichiarano di voler attivare nel 2015.

Dato interessante, a fronte del dibattito che l'argomento sempre suscita tra la professione, il 58,9% di dentisti che dichiara che ha attivato o intende attivare una convenzione con fondi, assicurazioni o strutture pubbliche.

Manageriali (56,5%), innovazione tecnica (50,2%) e tecnologica (42,1%) le principali aree di competenza verso le quali i dentisti italiani vorrebbero investire.

Dati sicuramente innovativi quelli che hanno cercato di capire il grado di conoscenza dei dentisti in tema di previdenza e pensioni lanciano certamente un allarme al sistema.

In media, i dentisti dichiarano di conoscere poco o molto poco (67,5%) le questioni previdenziali e pensionistiche. Una disinformazione o disattenzione presente in tutte le fasce di età, anche quelle più vicine al termine della propria attività.

Scarsa attenzione che si ripercuote nelle scelte fatte per garantirsi un tenore di vita decoroso al termine del percorso lavorativo visto che solo il 47,5% dei dentisti ha aderito ad un fondo pensione complementare ed il 16,5% ha riscattato gli anni di laurea ai fini pensionistici.

Poca conoscenza che si conferma anche quando viene chiesto quando pensano di andare in pensione.

Il 45% pensa di farlo tra i 66 ed i 70 anni mentre il 30,3% prima dei 65 anni, forse dimenticando che le attuali norme li costringeranno a superare il 68 anni di età. Forse più realistico il 24,6% dei dentisti che prevede di andare in pensione oltre i 70 anni.

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