La lettura degli studi e delle esperienze esistenti e la conoscenza di esempi come quello di Clelia Mazza dimostrano che adottare l'approccio della medicina narrativa è una scelta possibile.
"È necessario però adottare un atteggiamento mentale nuovo: non bisogna infatti pensare che il vissuto del paziente sia un elemento di disturbo, ma piuttosto una risorsa da utilizzare proprio per individuare e prestare le cure più appropriate; per fare questo, è necessario che il professionista sviluppi sia la capacità di comprendere sia la sensibilità per poter dare al racconto del paziente senso e valore."
La domanda a questo punto è d'obbligo: è necessario allora prevedere tempi più lunghi per le visite ai pazienti?
"In realtà il tempo effettivamente necessario può non essere molto e sicuramente viene recuperato quando la cura dà buoni risultati: spesso, per quanto riguarda la mia esperienza, è sufficiente concedere 10-15 minuti nella fase iniziale della relazione con il paziente per poter avviare un rapporto paritario e di fiducia che lo motiva all'aderenza e che grazie ai buoni risultati ottenuti consente, negli incontri successivi, di dedicare un tempo inferiore alla terapia vera e propria.
Il cambiamento importante è quello che permette di abbandonare un atteggiamento paternalistico medico-paziente e di entrare così nell'ottica di una relazione d'aiuto in cui si esamina insieme al paziente quale può essere la strada verso la guarigione ottenendo così, allo stesso tempo, maggiore motivazione e una terapia più individualizzata. Per poter ottenere questi risultati, però, il professionista deve essere preparato".
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