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31 Maggio 2010

Trent'anni di Odontoiatria: il vissuto degli studenti

di Cosma Capobianco


Trent’anni, l’età in cui tanti laureati e masterizzati continuano a vivere con mamma e papà, per comoda scelta o per necessità sofferta. Il corso di laurea in Odontoiatria, invece, è diventato adulto e indipendente: si è allungato di un anno, ha raddoppiato le sedi universitarie e così anche la produzione annua. Eppure fu concepito in tutta fretta per ordine dell’allora Comunità Economica Europea e vide la luce solo nel 1980 dopo una gestazione biennale. Il parto fu travagliato: gli studenti si trovarono di fronte a docenti incaricati all’ultimo momento e con un programma tutto da creare, per non parlare della grave carenza di strutture didattiche e degli stessi libri di testo, pochissimi quelli in lingua italiana, poco conosciuti quelli in lingua straniera. La situazione normale di un Paese anormale. Tracciamo un breve bilancio tra ricordi, emozioni e presentimenti con Paola Strazioso e Luca Ciuchini, odontoiatri della prima ora che fecero da apripista, e con Elisabetta Amico, classe di laurea 2005, nata quando Paola e Luca erano al primo anno di corso.
A colpi di carte
Paola Strazioso è in servizio come specialista in ortodonzia presso l’ospedale odontoiatrico “George Eastman” di Roma dal 1988; un posto tanto ambito quanto sudato, forse più di sette camici. Per arrivarci fu costretta a una lunga battaglia legale di cui ancora oggi sente le conseguenze. Laureata nel 1984, dovette attendere due anni prima di potersi iscrivere all’Ordine, dato che le “competenti” autorità non avevano previsto questa eventualità e gli Ordini non sapevano come registrare i nuovi professionisti. Nel 1986 fu indetto il concorso per 12 posti di assistente presso l’ospedale Eastman ma nel bando non c’era posto per gli odontoiatri. “Il bando non prevedeva la nostra laurea tra i titoli per l’ammissione - ci racconta Paola Strazioso - ma l’avvocato da noi scelto si era già documentato e aveva preparato il ricorso al Tar. A dire il vero nel bando non si richiedeva nemmeno la specializzazione dei laureati in medicina, tanto che poi furono assunti medici non specialisti. Il Tar emise subito un’ordinanza in cui dava ragione a noi odontoiatri. Mi piace ricordare che i miei compagni di università, una settantina in tutto, parteciparono al concorso e all’azione legale anche se non erano realmente interessati. Fu solo per far valere i nostri diritti e alla fine entrai solo io.” Ma entrare non fu facile, nemmeno con l’ordinanza del Tar in mano perché era necessario attendere la sentenza definitiva che arrivò solo sei anni dopo. “Nel 1988 ci fu il concorso e io mi piazzai al terzo posto. La Asl di Roma 3, da cui dipende l’ospedale Eastman, deliberò di assumermi ma solo dopo la pubblicazione della sentenza del Tar. Il nostro avvocato allora impugnò la delibera davanti alla Regione Lazio, scrivendo che essa ledeva i miei diritti e violava l’ordinanza del Tar. La Regione quindi respinse la delibera ritardando ulteriormente l’entrata in servizio di tutti i vincitori e questo causò una rivolta nei miei confronti. Pochi anni dopo il copione si ripropose per il concorso ad aiuto ma il Tar questa volta mi fu sfavorevole. Tutto ciò, purtroppo, non ha contribuito all’ambiente di lavoro e devo dire che ancora oggi mi sento un po’ isolata.” Il bilancio è comunque positivo anche se non mancano le ombre: “Certo quando uno è fresco di laurea vede tutto in modo più ottimistico. All’epoca, tuttavia, già non mancavano i segni del futuro che poi si è avverato: la pletora attuale era già prevedibile con tutto quello che ne consegue. Non credo che consiglierò questa scelta ai miei figli”. Su tutt’altra lunghezza d’onda ci risponde Elisabetta Amico, specialista in ortodonzia, che esercita solo la libera professione; del resto con un bel bambino di due anni non si può che essere ottimisti. Si è iscritta a odontoiatria quando a Milano c’era già un dentista in ogni strada. Ha scelto per vocazione, senza essere figlia d’arte, ed è ancora convinta di avere fatto bene anche se si sta arrivando a un dentista per ogni condominio. “Sognavo di diventare dentista fin da bambina; credo che sia stato merito anche dei dentisti che mi hanno curata. Con loro ho sempre avuto belle esperienze da piccola: così quando ero una paziente ortodontica ho cominciato ad appassionarmi alla disciplina in cui mi sono poi specializzata. Sinceramente se non avessi superato il test di ammissione, non avrei saputo che altro fare.” Una scelta confortata dai risultati raccolti finora “Non potrei che consigliare la mia scelta a chi deve scegliere il suo futuro universitario. Certo non bisogna decidere solo in base alle aspettative economiche: io non mi aspettavo di diventare ricca, avevo semplicemente in mente di diventare una brava professionista e di raccogliere soddisfazioni facendo bene il mio lavoro”.
Facciamo Ordine
Nella situazione normale del Paese anormale era naturale che, istituita la laurea, mancasse ancora l’abilitazione e tutto il resto. I primi odontoiatri, come Luca Ciuchini, non potevano iscriversi all’Ordine, che allora era solo “dei medici”, perché nessuno si era preoccupato di preparare le disposizioni necessarie per tempo. “Fui tra i primi a occuparmi di questo problema, quando ero ancora studente ed ero rappresentante del Corso di laurea di Roma. Incominciammo a muoverci un paio di anni prima che uscisse la legge. Nell’Ordine qualcuno ci vedeva come figure estranee “non mediche” e quindi avrebbe fatto volentieri a meno di noi ma poco alla volta siamo riusciti a guadagnare il nostro spazio. Attualmente si è arrivati a un accordo con i medici per ampliare ancora la sfera di autonomia dell’Odontoiatria nell’Ordine.” Per fortuna, a Roma gli odontoiatri avevano un grande maestro che fu di grande aiuto: “Al professor Capozzi siamo tutti molto debitori: credeva tanto nel corso di laurea e nei suoi studenti. Si attivò molto anche per aiutarci a diventare professionisti abilitati a tutti gli effetti. Inoltre, impersonava la figura del medico-umanista e così ci trasmetteva quei valori che adesso vedo invece un po’ trascurati rispetto al lato tecnico dell’Odontoiatria, per non parlare dell’onda commerciale che rischia di travolgere la professione”. L’aiuto dei saggi e la grinta dei giovani aprirono pian piano tutte le porte: nel 1989 Ciuchini fu uno dei primi odontoiatri a essere eletto nell’Ordine come membro della commissione per l’Albo degli odontoiatri, carica che poi assunse nel 1992 anche nella Fnomceo. Il suo bilancio è in chiaroscuro: alle soddisfazioni di una professione scelta per passione si affiancano le preoccupazioni di una deriva commerciale che rischia di svilire la figura del medico odontoiatra, “una volta era prevalente il rapporto umano curante-paziente: adesso pare che importi solo il lato economico. La pubblicità e le convenzioni con i fondi sanitari, se non saranno ben regolate, rischiano di peggiorare ancora la situazione.” Possono sembrare le solite lamentele di chi non è più giovane e ripete “era meglio ai miei tempi” ma la tendenza, anzi il business trend, colpisce tutta l’attività medica ed è bene che tutti i professionisti facciano sentire la loro voce. Ridurre la salute a un semplice oggetto di scambio economico è un pericolo per tutti.
Trent’anni dopo
Sono forse altrettanti i motivi di riflessione provocati dal trentesimo anniversario dell’avvio del Corso di laurea in odontoiatria; alcuni sono positivi e ci fanno sentire bene, altri no e ci fanno sentire nella vischiosa normalità di un Paese anormale. Era l’autunno del 1980, un tipico anno dell’Italia dell’epoca tra governi instabili, terremoti e attentati terroristici, quando iniziarono le lezioni dei primi corsi di laurea. Le sedi erano poche, le strutture didattiche ancora meno; in compenso l’entusiasmo era alle stelle: il numero chiuso, un futuro da privilegiati, la poltrona vuota solo di notte. La voce col segno “più” del nostro bilancio è lo spettacolare miglioramento dell’assistenza odontoiatrica di cui ora possono disporre gli italiani. Certo, nello stesso periodo altrettanto spettacolare è stato il miglioramento delle tecniche e dei materiali ma il fattore G, dove G sta per giovinezza, è forse stato più importante. La cura dei denti era sempre stata una sorta di Cenerentola, un locale di servizio dove i medici realmente motivati non erano certo la maggioranza. Molto più numerosi erano i dopolavoristi o i prestanome che avevano trovato il modo di arrotondare facilmente le entrate. L’arrivo di tanti giovani (tra cui tante donne), che avevano fortemente e consapevolmente scelto l’Odontoiatria, ebbe un effetto innegabile sul modo di lavorare, sul rapporto coi pazienti e sulla voglia di innovare. L’ampliamento dell’offerta fu dunque soprattutto qualitativo (basti pensare a quanti giovani si dedicarono a branche trascurate, come la Pedodonzia, o semisconosciute come la Parodontologia) ma anche quantitativo. Pian piano anche nei piccoli centri, dove magari non c’era mai stato neppure un abusivo, iniziarono ad aprire nuovi studi dentistici. Il miglioramento dell’offerta si ripercuoteva anche sul modo di impostare i piani di trattamento: dal consolidato protocollo “pinza+protesi” si passava sempre più spesso a terapie più razionali e conservative. Trattamenti endodontici e parodontali, igiene professionale, ortodonzia intercettiva cominciarono a trovare il loro dovuto spazio nei piani di trattamento. Le voci col segno meno derivano dalle malattie croniche dell’Italia: una politica distratta, un’amministrazione sdrucita, governi senza timone. E i problemi restano quelli di sempre: prestanomi e abusivi puniti con buffetti sulle guance, proliferazione dei corsi di laurea, numero chiuso aggirato nei modi più svariati, burocrazia soffocante che moltiplica i costi di gestione a tutto danno di professionisti e pazienti e, all’orizzonte, la trasformazione del professionista in un imprenditore di coccio in mezzo a società di ferro. Ci salverà l’Europa?

GdO 2010;8

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