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21 Luglio 2019

La differenza tra tariffa e compenso e quando pretendere quello equo serve per tutelare la professione

di Norberto Maccagno


Tra i temi di stretta attualità su cui il Governo (o parte di esso) dice di voler intervenire -comunque lo annuncia- c’è quello del salario minimo. Che è di fatto la copia dell’annuncio dell’aprile scorso a favore dell’equo compenso.
Ad aprile l’obbiettivo tutela era verso i liberi professionisti (non tutti ma ne parleremo più avanti), con il nuovo annuncio ora si dice di voler tutelare i lavoratori dipendenti.  

“Esamineremo quanto prima la norma sull’equo compenso, partendo dall’aggiornamento dei parametri giudiziali fino a un compenso dignitoso per tutti i professionisti”, diceva ad aprile il vicepremier e Ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio al presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella, durante un colloquio svoltosi a Palazzo Chigi, a margine del lancio della petizione di Confprofessioni e di altre sigle del lavoro autonomo (tra cui ANDI), per chiedere l’immediata attuazione della norma sull’equo compenso.  

Si è mosso qualche cosa?  

Sul fronte Ministero del Lavoro non sembra. In realtà la scorsa settimana il Ministro Bonafede ha attivato un tavolo tecnico per monitorare la corretta applicazione della disciplina dell’equo compenso, ma per la professione forense.  

Ma cosa si intende per equo compenso?  

Se lo caliamo nel settore odontoiatrico, stando a quanto regolamentato dalle attuali leggi (che ci sono ma sono di difficile applicazione), l’equo compenso è la cosa più lontana da quanto spesso abbiamo sentito annunciare o chiedere in tavole rotonde di settore, o letto nei post anche di autorevoli commentatori odontoiatrici.
Non è la norma che impedisce al dentista o allo studio odontoiatrico, alle Catene, di fare pagare una prestazione meno di un tariffario minimo, che peraltro ad oggi non esiste ed è anche vietato. Poi le attuali norme che regolamentano l’equo compenso, chiariscono che non solo valide per il rapporto tra professionista e cittadino.  

L’equo compenso, come attualmente regolamentato, prevede un compenso minimo ed adeguato alla qualità ed alla quantità di lavoro prodotto dal professionista. Gli Ordini hanno il dovere di individuarlo, ma può essere “sforato” del 30%.  

In un primo momento la norma riguardava solo gli avvocati, poi è stata estesa a tutti i liberi professionisti ma vale solo per i rapporti di lavoro, regolamentati da un contratto con banche, assicurazioni ed imprese. Potrebbe quindi valere per l’odontoiatria collaboratore con una società odontoiatrica? Forse no, perché per imprese sembrano intendersi le grandi imprese, infatti una proposta di modifica legislativa chiede che l’equo compenso si applichi anche alle imprese con più di 50 dipendenti o 10 milioni di euro di fatturato.  

Ma il compenso non è la tariffa della prestazione.

Nel settore odontoiatrico, fino a qualche decennio fa, era di fatto la stessa cosa, il compenso era quanto il dentista titolare dello studio riusciva a raccogliere tolte le spese del proprio studio: quello era il valore del suo “tempo”. Oggi non è più così.   Il vero motivo del perché oggi l’equo compenso deve essere ampliato a tutte le libere professioni, odontoiatria compresa, è per il fatto che oggi, il mondo della libera professione non è più quello di venti anni fa.  

Oggi sempre meno liberi professionisti hanno rapporti economici diretti con i cittadini, oggi il rapporto è intermediato da un interlocutore che offre servizi acquistati dal professionista e poi forniti direttamente al cittadino. L’imprenditore paga l’odontoiatra per curare i pazienti che si rivolgono nel suo centro dentale, il dentista titolare del suo studio paga un’igienista dentale per eseguire una seduta di igiene professionale sui suoi pazienti.   Oggi il giovane libero professionista, ancora di più il neo laureato, è quello che fatica ad entrare nel mondo del lavoro ed è più simile al lavoratore dipendente, probabilmente anche più precario del lavoratore dipendente. Decisamente diverso da come funzionava per l’ingegnere, il medico, l’avvocato come ce lo ricordiamo negli anni ‘80.  

Chiedere anche nel settore odontoiatrico l’equo compenso, non un tariffario minimo delle prestazioni imposto, è prendere atto che anche la professione odontoiatrica è cambiata, non è più -o solo- lo studio di proprietà del titolare, ma è anche, e sempre di più, collaborazioni.   Poi se un collaboratore di una società odontoiatrica viene adeguatamente retribuito, sarà più difficile che questa possa offrire prestazioni a tariffe decisamente basse. Ma il collaboratore odontoiatra deve essere retribuito adeguatamente anche nello studio del singolo dentista.   E poi ci sono i problemi del sistema previdenza. Professionisti che vengono pagati poco, contribuiscono poco alle casse pensionistiche, e quindi non riescono a contribuire alle pensioni dei professionisti già a riposto, ma anche a costruirsi un futuro pensionistico adeguato.  

Oggi le libere professioni devono recuperare la loro centralità ed anche la loro identità, e possono farlo partendo dal compenso, ovvero il valore dato al proprio lavoro. Che è diverso dalla tariffa praticata al paziente che è invece l’insieme di: lavoro del professionista, costi del personale, ammortamenti, materiali, spese varie etc.   Ha fatto scalpore nei mesi scorsi il bando attivato da una amministrazione comunale che cercava assistenti sociali disposti a percepire un compenso di un euro l’ora, ma ci sono anche amministrazioni pubbliche che propongono lavori non retribuiti, ci sono giornalisti pagati con 2-3 euro a pezzo o dentisti 10 euro l’ora.  

Che rispetto dell’etica professionale ci può essere in un giovane dentista che guadagna meno della signora che alla sera fa le pulizie in studio? Eppure l’istituto delle professioni protette si basa sul rispetto della deontologia e dell’etica. Quanto è alto il rischio di vedere scendere a compromessi un avvocato pagato meno dell’impiegata dello studio?  

Per recuperare il valore della libera professione, serve un progetto serio e soprattutto ampio, al quale lavorino, insieme, la Politica, i Sindacati ma soprattutto l’Ordine, il cui ruolo sarà poi di verifica, raccogliendo le segnalazioni dei professionisti.  

Un progetto, odontoiatricamente parlando, che abbandoni la visione del dentista il cui solo obbiettivo è quello di lavorare nel suo studio odontoiatrico, ma che guadri all’odontoiatra come professionista a 360°: collaboratore, dipendente o imprenditore. Un progetto che contempli l’equo compenso ma anche l’apprendistato, per citare un altro tema legato ai giovani laureati che potrebbe favorire, la crescita professionale, il passaggio generazionale o l’aggregazione tra professionisti.    

Pretendere che tutti i professionisti ricevano un’equa remunerazione, proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione deve essere l’obiettivo e può essere il primo passo per rilanciare, ed anche riformare, il sistema delle libere professioni nel nostro Paese.  

E si deve cominciare dal tutelare i professionisti più deboli, quindi i giovani, non solo perchè saranno il futuro della professione ma perché, con le loro scelte future, indirizzeranno la professione verso il modello (o i modelli) di gestione di domani: magari decretando la fine del modello di esercizio come ora lo conosciamo o saranno i protagonisti del suo rilancio.    

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