Niente di “troppo nuovo” sotto il sole, verrebbe da commentare guardando al quadro attuale della chirurgia orale per quanto riguarda le procedure più comuni quali per esempio la chirurgia estrattiva di denti inclusi, l’asportazione di cisti dei mascellari o di neoformazioni dei tessuti duri e molli del cavo orale.
Eppure, se si adotta una prospettiva più lunga e si considera quanto si è fatto negli ultimi anni, i progressi sono stati notevoli, soprattutto per quanto riguarda lo strumentario chirurgico, l’implantologia, le tecniche ricostruttive, e l’estetica.
Ne parliamo con Matteo Chiapasco, autore del volume Chirurgia orale, ricercatore universitario e docente di chirurgia orale sia nel corso di laurea in Odontoiatria e protesi dentaria sia nelle scuole di specializzazione di chirurgia orale e maxillo-facciale dell’Università degli Studi di Milano, nonché responsabile dell’Unità di chirurgia orale della Clinica odontoiatrica dell’Azienda ospedaliera San Paolo - Università di Milano.
Dottor Chiapasco, ci può dare un quadro delle novità nell’ambito della chirurgia orale?
Attualmente si assiste a un continuo affinamento dello strumentario di base e all’introduzione di nuove apparecchiature quali per esempio gli strumenti piezoelettrici o gli strumenti a ultrasuoni per la chirurgia endodontica, ma effettivamente grandi novità dal punto di vista tecnico non ce ne sono.
In ambito più propriamente implantologico è in atto invece una rapida evoluzione sia dei materiali, sia delle varie componentistiche, sia dei protocolli di terapia.
Può dirci qualcosa di più sui materiali implantologici?
Certamente. Possiamo dire che l'evoluzione è cominciata dapprima con lo studio della froma dell'impianto, cioè della macrostruttura, sotto forma di viti lisce o filettate di titanio commercialmente puro (i cosidetti impianti osteointegrati). Da qualche tempo si è passati allo studio della microstruttura della superficie implantare, fino ad arrivare allo studio della nanostruttura, per mettere a punto nuovi tipi di preparazione delle superfici. L'obiettivo è migliorare la qualità dell'integrazione dell'impianto nell'osso e, di conseguenza, i tempi, che dovrebbero diventare più rapidi. Questo discorso riguarda soprattutto il titanio, che è il materiale dominante. Poi c'è un interesse crescente per gli impianti che impiegano zirconia e , più in generale, i nuovi materiali ceramici.
E in termini pratici, come si è tradotto questo processo evolutivo?
Uno dei grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi dieci anni riguarda i tempi di utilizzo degli impianti, cioè dei tempi di carico protesico. Dallo schema originale proposto dai fondatori dell'implantologia moderna, Branemark e Schroeder, che prescrivevano di aspettare dai tre ai sei mesi prima di utlizzare gli impianti, si è passati allo schema attuale che prevede la possibilità di una protesizzazione o di un carico reale immediato.
Per quanto riguarda le tecniche di ricostruzione? Qui il progresso è stato enorme...
In effetti è proprio così. L'altra grande novità di questi ultimi anni riguarda il fatto che fino ad alcuni anni fa si facevano impianti solo quando c'era una quantità di osso della mandibola e del mascellare sufficiente a ricevere impianti osetointegrati di adeguate dimensioni. Adesso si utilizzano impianti in associazione a tecniche ricostruttive molto sofisticate che consentono di riabilitare pazienti con pochissimo osso rimasto a causa del suo riassorbimento e pazienti con malfromazioni congenite, o con esiti di traumi o di tumori facciali. In tutti questi casi con tecniche come la rigenerazione ossea guidata, la distrazione osteogenetica, l'espansione dei mascellari sottili, gli innesti di osso prelevati dallo stesso paziente, è possibile ricreare condizioni favorevoli all'inserimento di impianti dove prima non era assolutamente possibile.
GdO 2006; 15
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