Come si sa, gli impianti mancano delle naturali difese parodontali di cui gode il dente restando così più esposto all’aggressione dei batteri e dei fattori infiammatori. La natura ha risolto questo problema circondando i denti con la gengiva aderente e la logica vorrebbe che la soluzione valga pure per gli impianti. In realtà, la complessità del sistema impianto-tessuti orali è tale che la validità di questa ipotesi non è ancora stata provata.
In letteratura si trovano, invece, dati consolidati sulla correlazione positiva tra posizione sottogengivale del restauro e flogosi gengivale in sedi con scarsità di gengiva aderente e igiene non adeguata. Da qui è partita l’ipotesi che l’insufficienza di gengiva cheratinizzata possa compromettere la durata degli impianti.
Tra le tante variabili del problema da risolvere c’è pure il tipo di superficie implantare alla quale viene oramai concordemente attribuita importanza nella durata degli impianti. Tra le ultime ricerche in questo campo si distingue quella che arriva dall’università di Ann Arbor nel Michigan e apparsa da poco su Journal of Periodontology: gli autori hanno condotto uno studio retrospettivo su diversi tipi di impianti. I risultati di Ann Arbor dicono che l’entità della perdita annuale di osso (e, quindi, l’accorciamento della durata dell’impianto) non è influenzato dall’ampiezza di gengiva cheratinizzata o di mucosa aderente e neppure dal tipo di superficie implantare; l’osso si perde, infatti, anche in presenza di tessuti cheratinizzati anche se ciò sembra avvenire più facilmente negli impianti a superficie ruvida.
Gli autori indicano anche le limitazioni del loro metodo di indagine: in primo luogo, non era nota l’ampiezza iniziale dei tessuti cheratinizzati, secondariamente, molte variabili importanti (come il fumo) non sono state considerate. Pertanto saranno necessari ulteriori studi per rispondere a queste domande.
GdO 2007; 1
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