Il tema che il prof. Massimo Gagliani tocca nel suo Agorà del Lunedì è quello dei materiali e degli studi che li verificano
La moderna restaurativa nasce con il nuovo millennio; quella che venne chiamata “the silent revolution” prese le mosse in quegli anni, sebbene già dall’inizio degli anni ’90 si sentisse parlare di questi miracolosi adesivi “smalto-dentinali”.
Esce nel 2021 una metanalisi che si occupa di carie secondaria, ovvero di quel processo patologico che affligge gli elementi dentali già precedentemente trattati.
Un processo, visto alla poltrona, tutt’altro che simpatico: “Dottore, l’otturazione che abbiamo fatto sei mesi fa si è già cariata….” l’espressione classicamente accompagnata da sorrisetto inquisitorio. In quei momenti ci viene in supporto l’elettronica e, puntualmente, l’otturazione o non è quella o è quella fatta sette anni prima….ma non buttiamola in caciara.
In ogni caso, la carie secondaria è un reperto comune e se ne sono occupati alcuni colleghi della Charité di Berlino; il tema è stato sviluppato correlando il fenomeno alla tipologia di adesivi impiegati. Cosa è emerso ve lo racconta, come sempre, la scrupolosa dott.ssa Lara Figini nell’approfondimento su Odontoiatria33 a questo link, ma vi anticipo i riscontri finali: gli adesivi di prima generazione, alla fine, erano quelli che funzionavano meglio e quelli delle generazioni appena successive, ovvero i surrogati semplificativi, erano i peggiori.
Poi, col tempo, anche questi, sulla pelle dei nostri fallimenti, si sono evoluti e, attualmente, si sono migliorati.
La morale è tragica: le evidenze cliniche dei primi approcci erano già orientate in quel senso e la comunità scientifica, sebbene non corroborata da roboanti “randomized clinical trials”, aveva già messo in allerta i colleghi più illuminati. La potenza delle “major” aveva comunque imposto gli adesivi peggiori (dati di indagini conoscitive su campioni di odontoiatri rappresentativi alla mano), salvo poi ricredersi con evoluzioni successive.
Sono passati quindici anni, più o meno, e siamo giunti a concludere che, in fondo, anche i cementi vetroionomeri non erano poi tanto male in tema di carie secondaria. Il tutto condito con la solita requisitoria finale riguardante la scarsità degli studi a riguardo e l’inadeguatezza degli stessi.
Morale?
Mah, penso sempre più spesso al Longanesi del tutto e del suo contrario; non mi voglio arrendere, ma forse è tempo che la comunità scientifica trovi metodi più rapidi per separare onestamente i fatti dalle finzioni.
Per approfondire:
Askar, H., et al. (2021). "Secondary caries risk of different adhesive strategies and restorative materials in permanent teeth: Systematic review and network meta-analysis." J Dent 104:
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