E’ il tema dell’Agorà del Lunedì del prof. Gagliani che ricorda come una quota non indifferente di questa plastica viene prodotta dal mondo della salute, una tonnellata circa in un anno da un solo studio ...
L’emergenza “covidica” e la paura delle infezioni crociate ha fatto lievitare, assieme ai prezzi, anche il numero di elementi monouso che il dentista utilizza durante le pratiche cliniche.
Non è un problema di oggi; ben lo fotografano dei colleghi di Sheffield, sull’ultimo numero del Journal of Dentistry sintetizzato per Odontoaitria33 da Lara Figini.
Sancito il fatto che circa otto milioni di tonnellate di plastica vengono disperse negli oceani ogni anno, non bisogna dimenticare quanto i rifiuti “aerei” della plastica determinino un consistente aumento dell’inquinamento.
Paradossalmente, una quota non indifferente di questa plastica viene prodotta dal mondo della salute; l’odontoiatria non ne è esente.
Per quantificare questo apporto i ricercatori si sono basati su un numero pre-definito di operazioni dentali consuete e hanno registrato la quantità di oggetti in plastica impiegati, compresi i camici monouso, tanto in voga in questo periodo di pandemia.
Bene il risultato è stato interessante: circa ventuno “pezzi” di plastica vengono impiegati nelle normali procedure, intendendo per esse anche le operazioni di riordino e disinfezione della postazione lavorativa. Il totale, in termini di peso, si aggira intorno ai 350 grammi.
L’incremento dell’uso di materiali plastici, confrontando il periodo pre-Covid e quello attuale, è lievitato del 25% circa.
Facendo un ragionamento sommario, con una moltiplicazione ovviamente approssimata, uno studio odontoiatrico di medie misure, che lavori otto ore per duecentoventi giorni/anno, su due postazioni lavorative, produrrebbe circa milleduecento chilogrammi di rifiuti plastici/anno.
Una tonnellata appena abbondante; robe da non credere.
Con molte domande da porsi e riflessioni serie da fare per il prossimo futuro.
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