Con la legge Balduzzi il medico era punibile solo per dolo o colpa grave, restava fuori la colpa lieve ma con dei limiti. Con la riforma della responsabilità dell'anno scorso, legge Gelli, il medico non è mai punibile se in caso di imperizia ha rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nazionale e internazionale.
La legge Gelli tutela davvero di più il sanitario?
È uno dei passaggi focali del recente convegno tenuto a Milano alla presentazione del volume del professor Matteo Caputo, penalista, dal titolo "Colpa penale del medico e sicurezza delle cure" (Giappichelli Ed., 2018), con gli interventi dei professori Gabrio Forti, Renato Balduzzi, Ombretta Di Giovine, Riccardo Zoia e del Presidente della Suprema Corte di Cassazione Giovanni Canzio.
Seguendo le analisi approfondite del testo di Caputo sono emersi importanti contributi sul ruolo del diritto penale nel valutare la responsabilità sanitaria, specie in relazione al coinvolgimento personale del medico. Ma è dall'intervento del Presidente Canzio che è emerso il dettaglio dei fondamenti motivazionali della giurisprudenza di Cassazione più recente.
Che, alle prese con il succedersi ravvicinato delle leggi, ha dapprima fatto i conti con il rilievo attribuito al concetto di "colpa grave" anche in ambito penale, introdotto dal Decreto Balduzzi e poi scomparso nella legge Gelli-Bianco, ma ugualmente meritevole di attenzione in quanto la responsabilità personale governa il sistema di giudizio. La legge Balduzzi non escludeva la punibilità per colpa lieve del medico ove la prestazione non imponesse passaggi di particolare difficoltà.
Con la legge Gelli, il nuovo articolo 590 sexies codice penale "salva" il sanitario dal penale ove l'evento si sia verificato a causa di imperizia e lui abbia rispettato le linee guida definite e pubblicate ai sensi di legge o, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto.
Gli indirizzi di Cassazione, com'è emerso dal convegno milanese, inducono però a considerare con attenzione i casi di colpa anche lieve da negligenza o imprudenzae gli stessi casi di imperizia quando non siano state seguite raccomandazioni pertinenti al caso concreto ma anche quando non vi siano linee guida o buone pratiche cliniche pertinenti al caso. Anche nei casi di imperizia può avere rilievo la colpa grave laddove, pur essendosi il sanitario attenuto a raccomandazioni previste in linee guida o a buone pratiche cliniche, pesino in modo particolare la concreta difficoltà del caso e le sue caratteristiche tecniche.
Insomma, i rischi restano dietro l'angolo.
Sugli aspetti critici delle pronunce della Suprema Corte si sono sviluppate le considerazioni di Ombretta Di Giovine ordinario di giurisprudenza all'Università di Foggia, mentre il costituzionalista Renato Balduzzi, Ministro della Salute all'epoca della riforma sanitaria che porta il suo nome (legge 189/2012) ha ripercorso l'evoluzione dei principi ispiratori dell'articolo 3 che ha innescato i cambiamenti più recenti in tema di responsabilità sanitaria. Riccardo Zoia Presidente della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni SIMLA si è soffermato sui limiti delle linee guida come strumenti di tutela del sanitario ove rispettate. “In campo penale oggi si pongono grandi difficoltà valutative medico legali sui casi di sospetta responsabilità sanitaria alla luce della attualità dell'impostazione scientifica e dell'organizzazione sanitaria”, riassume Zoia.
“Del concetto di linea guida vanno sottolineati anche limiti e complessità soprattutto in relazione alla concreta metodologia clinica richiesta al medico nella sua attività quotidiana. Va inoltre tenuto conto della pluralità dei fattori che intervengono nel determinare l'evento indesiderato: una complessità che mal si concilia con una personalizzazione rigida della responsabilità nei confronti del medico”.
Le conclusioni del professor Gabrio Forti hanno sottolineato l'importanza del dibattito in una visione prospettica che non può evincersi dal considerare la plurifattorialità nel raggiungimento della sicurezza nelle cure, il ruolo dell'organizzazione e la necessità di una costante ricerca di alto livello sui temi trattati.
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