Gentile direttore,
nei suoi redazionali si trovano sempre spunti interessanti, anche se, talvolta, affetti dall’italica propensione ad un eccessivo buonismo. In passato, tali situazioni non si sarebbero potute verificare, perché il sistema (sotto certi aspetti paternalistico) non lo consentiva: la pubblicità, infatti, doveva avere il nulla osta preventivo da parte dell’Ordine. Ciò consentiva che tutte le eventuali “irregolarità” venissero preventivamente intercettate e rettificate, ed i messaggi ammessi fossero corretti. Invece la politica ha inteso, secondo una concezione più “nordica” e meno “paternalistica”, liberalizzare il mercato pubblicitario.
Come è ovvio (ed esperienza comune della vita degli individui adulti) a maggiore libertà corrisponde maggiore responsabilità; l’ingresso del capitale nell’esercizio della sanità ha creato ulteriori spinte verso la deregolamentazione che, spesso, hanno portato, da parte di alcuni, ad interpretazioni un po’ troppo elastiche su quanto sia lecito e corretto propagandare in una pubblicità sanitaria. Purtuttavia, non possono essere consentite (o tollerate) forme di pubblicità informativa (troppo spesso questo fondamentale aggettivo, riportato in tutte le normative, viene dimenticato essendo, invece, essenziale perché consente al fruitore del messaggio, cioè il cittadino, di poter scegliere conoscendo consapevolmente, nel caso specifico, chi è il responsabile delle proprie cure) non veritiere e/ o trasparenti (a meno che non si voglia dare il via ad infiniti casi “Stamina”).
Ma non solo: uno degli scopi della pubblicità, in tutte le sue forme, è quella di indirizzare e condizionare il mercato. Ma se questo può essere ritenuto legittimo quando si tratta di cessione di beni materiali, ben più complesse considerazioni devono porsi quando si parla di salute e di scelte terapeutiche, dove, tra l’altro, è ancor più evidente l’asimmetria informativa e di livello di conoscenza tra chi propone il messaggio e chi lo riceve. E’ altrettanto evidente che l’ispirazione “nordica “ della riforma Bersani, mutuata da un contesto dove la sanità (compresa l’odontoiatria) è prevalentemente pubblica, traslata in un sistema dove l’odontoiatria è prevalentemente privata, possa creare dei fenomeni distorsivi.
Quindi, mantenendo degli ovvi limiti (veridicità e trasparenza) alle informazioni pubblicitarie, diviene necessario stabilire quale Autorità possa esserne tenuta alla verifica: la legge ha identificato l’Ordine (in perfetto stile anglosassone, una verifica tra pari). Questo ruolo dell’Ordine è stato ulteriormente rafforzato, nel concetto, con la recente legge di riforma Lorenzin, riaffermando il principio che uno dei principali compiti dell’Istituzione Ordinistica sia quello di vigilare sulla salute del cittadino. Mantenendo “limiti”, si mantengono le sanzioni a chi quel limite viola.
Diversamente argomentando, avremmo degli obblighi senza sanzioni e ben conosciamo qual è il rispetto riservato a siffatta tipologia di obblighi. Da qui discende la responsabilizzazione di quei soggetti (società o singoli medici) che, liberamente, decidono di agire in autonomia, realizzando messaggi pubblicitari che (non io o lei) la legge riconosce come non consentiti.
A maggiore libertà corrisponde maggiore responsabilità!
Responsabilità che, in tutti i sensi, ricade su chi ha inteso agire autonomamente, non avvalendosi di tutte le possibilità esistenti. Poiché, se è vero che non è più richiesto il nulla osta preventivo da parte dell’Ordine, è altrettanto vero che l’Ordine continua a fornire, dietro richiesta, il proprio parere preventivo sui messaggi pubblicitari.
Quindi, a chi la responsabilità per aver infranto la legge non utilizzando tutte le cautele possibili?
Appare del tutto evidente che il ritorno ad una valutazione preventiva (come anche lei auspica nel suo DiDomenica) che, in tempi rapidi e certi, verifichi veridicità e trasparenza del messaggio che si intende effettuare, sarebbe la soluzione giusta e d eviterebbe il ripetersi di tali situazioni! Mi rendo conto di quanto sia difficile portare indietro la storia, ma, ciò consentirebbe di dare la giusta interpretazione a quanto la stessa legge Bersani dice:”….la pubblicità informativa, con ogni mezzo ed avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio e i compensi delle prestazioni, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie”. Interpretazioni diverse o estensive di tali parole, da parte dei” fautori del libero mercato” non possono che essere considerate strumentali e, mi consenta, leggermente in malafede.
Concludo ribadendo che, a parer mio, la valutazione preventiva dell’Istituzione Ordinistica, obbligata in tempi certi a fornire una risposta, consentirebbe di conciliare la libertà di promozione con la tutela della salute dei cittadini-consumatori!
Giovanni Rubino: presidente CAO Vibo Valentia
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