Il contesto in cui opera il Professionista Medico Odontoiatra, oggi, si è sempre più strutturato nel senso della tutela della Salute del Paziente a 360°; in questo senso richiama l’art. 1 della L. 24/2017, più nota come Legge Gelli/Bianco, che inserisce nella tutela della salute anche il diritto alla protezione dal rischio nella somministrazione delle pratiche mediche (siano esse diagnostiche, terapeutiche o di altro genere) modulando così il diritto costituzionalmente sancito dall’art. 32. Nonostante l’interesse che questa considerazione generale solleva in ognuno di noi, ancor più urgente appare la necessità di comprendere come sia possibile operare nella prassi, bilanciando le esigenze del Paziente con le legittime nostre aspettative.
Sembra perciò interessante il caso discusso nel presente report, perché vede coinvolti quattro attori: i primi due sono intuibili, e cioè Odontoiatra e Paziente; ad essi si aggiungono, in un gioco delle parti che spesso si ripete, la Struttura e la Compagnia assicurativa.
I fatti
Il Paziente, un paio di anni addietro, si rivolge alla Struttura per una valutazione globale; la fase del piano di terapia più cospicua si rivelò essere la sostituzione di due elementi compromessi, il 2.5 ed il 2.6; la Struttura, dopo che un primo Odontoiatra (poi non coinvolto nel contenzioso) ebbe estratto gli elementi, affidò l’esecuzione delle fasi chirurgiche e protesiche ad un secondo Odontoiatra (anch’egli non coinvolto successivamente) il quale portò a compimento quanto previsto dal piano terapeutico proposto dal primo; purtroppo però la riabilitazione in 2.6 durò lo spazio di un mattino, e nel giro di pochi mesi si perse.
Un terzo Odontoiatra (il protagonista della nostra storia) nel frattempo subentrato al precedente, venne incaricato di rimediare; pose in essere una rigenerazione accompagnata da un intervento di minirialzo del seno ed attese l’osteointegrazione che però non avvenne. Constatato il fallimento della osteointegrazione, l’Odontoiatra rimosse l’impianto; questa operazione determinò una comunicazione oro-antrale.
Nell’estate del 2018 il Paziente, vuoi per il fastidio di aver già contratto impegni economici (come in genere accade nelle Strutture) a fronte di un fallimento seppur parziale, vuoi per la difficoltà di individuare un interlocutore (per il turn over degli Odontoiatri), vuoi ancora per il timore dovuto alle conseguenze della comunicazione oro-antrale, decide di adire le vie legali.
A fronte di una richiesta di risarcimento fatta dall’Avvocato del Paziente alla Struttura, la stessa comunica immediatamente, ponendo le basi della eventuale rivalsa, all’operatore chiamandolo a risponderne in solido; l’Odontoiatra perciò ne dà comunicazione alla sua Compagnia assicurativa.
A questo punto entra in gioco il Fiduciario della Compagnia, che visita il Paziente constatando la perdita dell’implantoprotesi in zona 2.6 ma anche constatando come la comunicazione oro-antrale si fosse perfettamente chiusa e non trasformata in fistola.
La discussione medico legale
La partita venne giocata perciò dal CTP della struttura e dal Fiduciario della Compagnia; il primo sostenne che la responsabilità del danno oggettivo stesse nel non aver suturato la comunicazione dopo la rimozione della fixture implantare; ciò avrebbe determinato una patologia (sinusite odontogena mascellare) di cui avrebbe dovuto extracontrattualmente rispondere l’Odontoiatra e non la Struttura (secondo l’art. 7 della L. 24/2017).
Il Fiduciario fece però notare come le Raccomandazioni Ministeriali del settembre 2017 prevedessero la sinusite quale complicanza possibile di determinati interventi odontoiatrici, e che la condotta congrua prevista era la applicazione di una corretta terapia farmacologica e/o chirurgica; la qual indicazione era stata posta in essere dall’Odontoiatra, cui spettava poi il monitoraggio della situazione clinica reso però impossibile dalla assenza del Paziente.
Che la condotta operata fosse corretta, peraltro, lo si può dedurre anche dalla perfetta restitutio ad integrum della mucosa orale e sinusale constatata e documentata dal Fiduciario in sede di visita.
Conclusione e considerazioni
In seguito alle considerazioni del Fiduciario si è pervenuti ad un accordo tra le parti, accordo che ha previsto un intervento economico più cospicuo da parte della Struttura, un contributo più limitato della Compagnia (che si è fatta carico del risarcimento, più o meno, della Inabilità Temporanea Parziale) a fronte di una liberatoria rilasciata dal Paziente.
Sul Collega è gravata solo la franchigia contrattuale; non ha dovuto affrontare spese legali.Il caso è stato affrontato in termini di estrema linearità perché lineare lo è davvero, ai limiti della banalità; ma non bisogna farsi ingannare, perché si presta a differenti letture. La prima, e la più semplice, è ricordare la nascita di un “fronte” di contenzioso innescato dall’art. 7 della 24/2017: quello tra le Strutture ed i Colleghi (vedi anche c. 3 dell’art 1 della stessa Legge: “Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale …”).
La seconda, più interessante - ritengo - per gli addetti ai lavori in Odontologia Forense, è la presa d’atto del diffondersi di una cultura odontologica forense condivisa da molti stakeholders, che è precondizione sia della prevenzione che della gestione dei conflitti, con effetti deflattivi sul contenzioso; e nel caso descritto la discussione, viva ma mai accesa, tra i consulenti tecnici delle Parti è stata efficace proprio visto il comune retroterra culturale (appartenenza al ProOF) degli stessi che ha consentito una discussione concreta senza irrigidimenti, con sostanziale rispetto degli interessi reciproci; pervenendo soprattutto ad un accordo stragiudiziale che ha consentito economie a tutti i Protagonisti.
A cura di: dott. Francesco Spatafora, odontoiatra, CTU e Perito registrato presso il Tribunale di Palermo, categoria Medici, specializzazione Odontoiatria e Odontologia Forense
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