Dentista giudicato colpevole di aver effettuato un intervento altamente invasivo, non necessario e sulla base di esami radiografici eseguiti un anno prima
La vicenda presa in esame dalla Corte di Cassazione (sentenza n. 38615/19) riguarda un dentista che era stato accusato di aver procurato danni alla salute di una paziente causati da un intervento di riabilitazione protesica con impianti. Secondo quanto riportato dalla sentenza, la paziente si era rivolta al dentista per rivedere una protesi fissa di sei elementi frontali in quanto “non più soddisfatta” dell’estetica.
Il professionista le proporne un “intervento di lunga durata” il cui piano di cure prevedeva l’astrazione dei sei elementi, poi diventati sette, quattro impianti, una devitalizzazione, un’otturazione e le conseguenti corone.
La prima visita risale al maggio 2009, dopo i vari interventi nell’aprile 2010 venivano tolti i tappi di guarigione degli impianti ed eseguita la fase protesica. Nell’agosto 2011 la “situazione peggiora”, la paziente si reca nello studio “con un imponente sanguinamento delle gengive; in data 22 settembre 2011 veniva riscontrata una forte mobilita del ponte frontale e il professionista eseguiva il posizionamento di tre nuovi impianti. Sempre dalla sentenza emerge che il giorno successivo, “la paziente presentava evidenti ematomi e gonfiori sul volto”. Paziente che non si presenta più dal professionista e si rivolge ad un nuovo dentista, dal quale “giungeva con un esteso processo infettivo con raccolta ascessuale in zona 22, 23 ove gli impianti presentavano un completo riassorbimento osseo”.
La paziente si rivolge quindi al Giudice chiedendo un risarcimento danni nei confronti del dentista per aver:
a) omesso di informare la paziente in modo completo ed adeguato sugli effetti e sulle possibili controindicazioni del trattamento;
b) nell’avere omesso di formulare la corretta diagnosi della malattia e del correlato trattamento sanitario non procedendo alla prescrizione degli esami clinici e diagnostici richiesti dalia natura della patologia, tra cui le appropriate indagini radiografiche mirate e panoramiche con conseguente, sia pure evitabile, errore diagnostico e terapeutico;
c) nell'avere estratto complessivamente, senza necessità terapeutica, sette denti tra cui due canini superiori con relativo supporto osseo preesistente.
Con la prima sentenza il Giudice di primo grado, nel ritenere infondate le accuse mosse al dentista, rilevava che la situazione in cui versava la paziente si poteva “ricollegare alle cure effettuate dall'imputato ma che la paziente aveva contribuito all’evoluzione negativa con una scarsa cura dell’igiene orale e che non era nemmeno possibile escludere un qualche evento imprevisto che avesse provocato in successione la caduta dell’impianto e la rottura del canino”.
Giudice che sottolineava, anche, come pur non risultando eseguita un'ortopantomografia prima della programmazione di qualsiasi intervento, il dentista era in possesso di una lastra risalente ad un anno prima dall’inizio delle cure, che era stata mostrata in aula al consulente di parte, il quale aveva mutato le sue convinzioni circa la completa erroneità dell’operato svolto dal professionista.
Paziente che si appellava ed in secondo grado i giudici le davano ragione, indicando come il CTU avesse rilevato “omissioni e scorrettezze” a carico dell’imputato.
Tra queste il fatto che il dentista, prima di pianificare gli interventi, “non aveva prescritto alla paziente gli esami clinici richiesti dalla natura del trattamento come radiografia panoramica, Tac.
Giudici che ritengono, sulla base della perizia, che il dentista non avrebbe dovuto togliere gli elementi dentali, “in quanto non necessario”, ma sarebbe stato opportuno “apprestare un piano terapeutico per preservarne il mantenimento con una cura canalare”.
Ora è il dentista a ricorrere in Cassazione che, però, conferma quanto disposto dalla sentenza di secondo grado ridendolo responsabile ai fini civili.
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