In una nota, la Società di Medicina Legale ritiene che la 101/20 non consenta l’esposizione a radiazioni ionizzanti per pratiche non mediche ed a scopi medico legali o assicurativi
La Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA) interviene sulla sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna di un odontoiatra per aver esposto numerosi pazienti a radiazioni ionizzanti con apparecchiature “Cone beam” senza giustificarne il ricorso, senza documentare esigenze diagnostiche e senza valutare i potenziali vantaggi diagnostici o terapeutici.
La Società scientifica evidenza come la Suprema Corte ha “ritenuto giustificate ed ammesse solo quelle pratiche complementari che per la loro caratteristica di poter costituire un valido ausilio diretto ed immediato per lo specialista, presentino il requisito sia funzionale che temporale di essere ‘contestuali’, ‘integrate’ ed ‘indilazionabili’ rispetto allo svolgimento di specifici interventi di carattere strumentale propri della disciplina”.
Per SIMLA “la sentenza apre una riflessione in ambito di consulenza tecnica di ufficio, ed anche in merito alle consulenze di parte, volendo offrire un primo commento ‘a caldo’ quale punto di partenza”. E il “commento” parte dalla Direttiva Euratom 2013/59 e dal recepimento attraverso il Decreto Legislativo 101/2020 “è ancora più specifico nella trattazione di utilizzo di radiazioni ionizzanti in ambito medico legale”.
Il documento della Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni entra nel merito dei singoli articoli della 101/2020 ricordando che questa “distingue nettamente le esposizioni in mediche e non mediche, ma tale distinzione non fa venir meno la protezione sanitaria delle persone a qualsiasi tipo di esposizione (art. 1), i cui principi di radioprotezione rimangono quelli di giustificazione, ottimizzazione e limitazione delle dosi”.
Tra i vari articoli indicati viene fatto notare come “nel corso di una CTU non è certo un dato di salute a beneficio dell’esposto che può rendere giustificata una esposizione. Tale pratica è regolamentata dall’art. 169 che consente al comma 1.b dell’art. 169: “tecniche diagnostiche nell’ambito di procedure medico-legali o assicurative che non presentano un beneficio diretto per la salute delle persone esposte, su richiesta di un medico prescrivente recante la motivazione”. Tuttavia, il comma 2.c stabilisce che “tutte le singole procedure che comportano esposizioni con metodiche per immagini a scopo non medico devono essere effettuate previa giustificazione individuale sotto la responsabilità clinica di un medico specialista in radiodiagnostica”.
“La base della giustificazione –continua la nota- non può risiedere nella tutela del diritto della salute che vuole esercitarsi in ambito giuridico, in quanto tale diritto in ambito radioprotezionistico si esplica là dove l’esposizione alle radiazioni ionizzanti comportino un vantaggio diretto ed immediato alla salute dell’esposto”. “Si è quindi di fronte, a parere di chi scrive, di due diritti distinti di cui quello in ambito giuridico (individuazione e valutazione del danno biologico o danno non patrimoniale) non trova accoglimento nello spirito del Decreto 101/2020”.“Inoltre, posto che il procedimento civile presuppone obblighi probatori a carico delle parti in causa, l’esposizione a radiazioni ionizzanti, eseguite alla ricerca di una lesione o di una menomazione a fondamento della richiesta del danno, possono di fatto sollevare una delle parti dall’onere di provare le ragioni mosse avanti al giudice. C’è infatti da chiedersi per quale motivo la parte interessata non abbia eseguito prima l’accertamento radiologico o i medici curanti non abbiano prescritto l’accertamento”.
“La sentenza della Suprema Corte penale –ribadisce il documento SIMLA- ha fissato un limite alle indagini radiologiche complementari, identificando criteri precisi a cui lo specialista non radiologo deve ancorare il proprio operato”.
“Analogamente -conclude la nota- dovrebbe ritenersi che per pratiche non mediche ed a scopi medico legali o assicurativi, soprattutto in corso di procedimenti civili e CTU, l’esposizione a radiazioni ionizzanti non è giustificata, salvo probabilmente casi rarissimi, ove però vi sia una precedente giustificazione individuale, da intendersi non solo sotto il profilo del rischio radiologico, ma soprattutto del bilanciamento degli oneri probatori delle parti e degli obiettivi specifici dell’esame, sempre che non vi siano strumenti o tecniche diagnostici alternativi in grado di fornire la stessa informazione”.
A questo link il documento integrale di SIMLA.
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