Considerati per molto tempo elementi utili o cruciali per l’ottenimento di condanne, negli anni si sono appurate criticità concernenti i rilievi identificativi delle lesioni da morso che hanno portato a verdetti di ingiusta condanna. Attualmente l’orientamento è quello di abbandonare l’utilizzo esclusivi dei bitemarks come prova giudiziale
I denti, oltre alla loro funzione principale legata alla masticazione, possono essere utilizzati come arma per attaccare o per difendersi da eventuali aggressioni.
L’analisi delle lesioni da morsicatura (bitemarks) avviene solitamente in casi di violenza sessuale, omicidio e abuso di minori ed è stata ampiamente utilizzata per identificare vittime di crimini violenti e potenziali sospettati, allo scopo di risolvere i casi criminali.
Dei bitemarks in odontologia forense ne parlano i dottori Massimo Sciarra, Pietro Messina e Giuseppe Alessandro Scardina su Dental Cadmos di ottobre.
I bitemarks possono essere riscontrati, all’interno di una scena del crimine, su cibo, oggetti o pelle umana. Sul volto è molto frequente trovarne su naso, orecchie o labbra; per quanto concerne il corpo, sovente si riscontrano segni sulle estremità superiori e inferiori.
In caso di aggressioni riconducibili a crimini a sfondo sessuale, spesso si può verificare la presenza di morsi multipli ed è frequente rilevarne a livello del seno o degli organi genitali.
L’individualità della dentizione
Le tecniche analitiche, nel corso degli anni, si sono basate sull’individualità della dentizione umana. Caratteristiche come forma, grandezza e posizionamento degli elementi dentali, usure, ricostruzioni e presenza di manufatti protesici possono essere di grande aiuto relativamente all’identificazione di un possibile sospettato.
Esistono diversi metodi identificativi che, nel tempo, sono andati incontro a numerosi cambiamenti legati all’evoluzione tecnologica e allo sviluppo di software capaci di fornire una notevole accuratezza e precisione riguardo all’analisi dei dettagli e ridurre il margine d’errore.
Tuttavia, nel corso degli anni sono state appurate diverse criticità concernenti i rilievi identificativi delle lesioni da morso.
Le criticità
A partire dagli anni 2000 sono state abbandonate le certezze in merito alla possibilità di pervenire a un’identificazione univoca basata esclusivamente sull’analisi dei bitemarks: le problematiche relative all’attendibilità delle prove prodotte in giudizio, che hanno portato anche all’emissione di ingiuste condanne, hanno spinto la comunità scientifica a riconsiderare l’unicità dei segni inflitti dalla dentizione umana sul tessuto tegumentario.
La moderna ricerca scientifica asserisce che gli odontologi forensi abbiano sostenuto per anni, erroneamente, la teoria dell'unicità della dentizione umana e abbiano sottovalutato fattori critici quali le distorsioni dei segni dei denti inflitti sulla pelle. In virtù di tali osservazioni, l’orientamento odierno evidenzia l’impossibilità di giungere a risultati esatti di identificazione basati esclusivamente sull’analisi dei bitemarks, soprattutto in assenza di conferme fondate su esami complementari quali, per esempio, l’analisi del DNA o le impronte digitali.
Un esempio emerge dai risultati di uno studio realizzato nel 2015 da Adam Freeman, past president dell’American Board of Forensic Odontology, e da Iain Pretty, professore dell’University of Manchester, che hanno mostrato notevoli lacune per quanto concerne la valutazione soggettiva delle lesioni. Il lavoro di ricerca è consistito nell’analisi, da parte di 38 odontoiatri, di diversi segni inflitti sulla pelle umana di 100 soggetti, volta a segnalare quali di questi fossero derivanti da lesioni da morsicatura.
I risultati hanno mostrato conclusioni fortemente discordanti: nella quasi totalità dei casi gli odontoiatri hanno fornito pareri dissimili relativamente all’effettiva identificazione dei bitemarks, concordando all’unanimità solamente in 4 occasioni.
L’orientamento attuale
Oggi gli stessi odontologi forensi stanno adottando un atteggiamento più prudente e riflessivo per quanto concerne la produzione di prove basate sull’analisi dei bitemarks durante i processi, così come le linee guida redatte dall’American Board of Forensic Odontology potrebbero essere soggette a future variazioni.
L’attuale ricerca scientifica sconsiglia di tenere in considerazione le eventuali prove giudiziali inerenti alle sole lesioni da morsicatura durante i processi criminali in attesa che vengano intrapresi lavori di ricerca scientifica volti ad apportare novità significative per la comunità scientifica forense relativamente allo studio di protocolli e metodologie analitiche che permettano di fornire prove certe da produrre durante i processi penali al fine di identificare, oltre ogni ragionevole dubbio, gli individui sospettati di crimini violenti.
Per approfondire:
L’articolo I bitemarks in odontologia forense: aspetti, metodologie di studio e criticità analitiche - di Massimo Sciarra, Pietro Messina e Giuseppe Alessandro Scardina - è stato pubblicato su Dental Cadmos: potete leggere la versione integrale a questo link.
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