Grazie alle nuove tecnologie, realizzare dei video di qualità durante l’attività clinica è oggi più che mai semplice. I consigli del prof. Cacioppo
Dopo aver analizzato nel precedente articolo l’evoluzione della fotografia odontoiatrica, passiamo ora al mondo del video making. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad una profonda trasformazione dei mezzi di registrazione dentro e fuori i nostri studi.
L’introduzione del digitale anche nell’ambito dei camcorder, in concomitanza a quanto avveniva nel mondo della fotografia, ha permesso a sempre più utenti di registrare la loro quotidianità portando con se videocamere sempre più piccole e leggere e dal costo sempre più contenuto. Il passaggio dai nastri magnetici (prima analogici con VHS e S-VHS e poi digitali con DV e MiniDV) agli hard-disk ed alle memorie a stato solido (compact flash, sd etc) ha permesso inoltre di aumentare la durata dei video e di trasferire in poco tempo il registrato sui personal computer per l’archiviazione, l’editing o la scrittura su disco (dvd o Blu-ray).
Tutte queste evoluzioni hanno avvicinato sempre più utenti all’idea di poter filmare da soli e diventare dei piccoli registi. Nel mondo odontoiatrico la registrazione video è rimasta sempre appannaggio di pochi. I motivi, più che nel costo d’acquisto, sono da ricercarsi nella difficoltà di installazione e di gestione delle telecamere. I pochi appassionati intenzionati a registrare del materiale didattico o divulgativo si sono sempre scontrati con parecchie difficoltà.
Analizziamone qualcuna:
1) Installazione. Sul palo del riunito, su treppiedi, su staffa, a tetto. Ogni metodo ha dei vantaggi ma certamente nessuno di questi può ritenersi perfetto. La migliore installazione rimane verosimilmente un braccio telescopico snodato con staffa a tetto. Questa particolare installazione isola totalmente la telecamera dalla poltrona rendendo impossibile la trasmissione di vibrazioni o micromovimenti. Al contempo però l’operatore può posizionare la telecamera in qualsiasi punto sovrastante la testa del paziente in modo da trovare l’asse di visione più congeniale a quella ripresa.
2) Cablaggio. I cavi video si sono evoluti anch’essi negli anni per permettere la trasmissione di un segnale più ricco di informazioni e per tragitti più lunghi. Al vecchio composite si sono progressivamente succeduti l’s-video, il component, i più recenti HDMI e DisplayPort o i più avveniristici SDI e NDI. Ciò che non cambia tra tutte le soluzioni è una tendenza al degrado del segnale con il metraggio, necessita di rilanciare e ri-amplificare i dati, difficoltà con i connettori. Senza contare che spesso i cavi risultano ingombranti e scomodi e difficili da gestire nel mantenimento dell’igiene dello studio (a meno che non siano perfettamente integrati nei pali di supporto).
3) Scelta e qualità delle ottiche. I sistemi video consumer o prosumer hanno sempre mostrato la loro debolezza proprio nel comparto ottico. La necessità dei videomakers , assecondata dal mercato, di avere lenti “versatili” con uno zoom variabile ha evidenziato le problematiche tipiche di queste ottiche, anche quando di buon livello. Infatti passando da un grandangolo ad un tele cambia la focale dell’ottica, la profondità di campo, la luminosità, la distorsione dell’immagine, il decadimento ai bordi. In più andando a zoomare per evidenziare i dettagli più piccoli aumentano le vibrazioni e questo rende, soprattutto in sistemi non stabilizzati, poco fruibili le immagini.
4) Messa a fuoco. La scelta più comoda sembrerebbe un sistema di autofocus che liberi l’operatore dalla scomodità di dover continuamente correggere per far fronte ai movimenti della testa del paziente o alle diverse fasi di un intervento. Ahimè anche qui la realtà è ben diversa. Infatti un sistema di autofocus applicato ad una professione come la nostra piena di utensili ed oggetti vari (non ultimo le mani di operatori e assistenti) che entrano ed escono continuamente dall’inquadratura rischia di affidare ad un algoritmo la scelta di cosa è importante nel video. Il risultato non sempre sarà ottimale e magari ci ritroveremo a fuoco la testa della turbina quando invece sarebbe stato interessante vedere la punta della fresa (giusto per fare un esempio).
5) Bilanciamento bianco ed esposizione. Mentre il primo è relativamente semplice e una volta settato non deve essere più modificato (se non al variare della fonte luminosa) l’esposizione presenta le stesse difficoltà di settaggio della messa a fuoco. Impostare un controllo automatico infatti non permetterebbe di gestire scenari difficili come il lavoro sotto diga (i denti risulterebbero sempre “bruciati”).
6) Monitoraggio delle riprese. Per essere certi che il campo d’interesse, molto ristretto nel nostro lavoro, sia sempre ben a fuoco, ben esposto e ben centrato siamo costretti a monitorare costantemente le riprese o affidarci a qualcuno che lo faccia per noi.
7) Archiviazione dei dati. Una delle operazioni più lunghe e noiose, ma ahimè indispensabili, è proprio lo spostamento del registrato su un PC per poter poi utilizzare i video o poterli editare a dovere. I supporti di registrazione non sempre permettono un rapido svuotamento della memoria tra un paziente e l’altro e tutto ciò rischia di allontanare il dentista del desiderio di registrare i suoi interventi.
Anche nel mondo delle video riprese, così come nella fotografia, una delle più grandi rivoluzioni è stata ed è l’avvento ed il continuo sviluppo delle telecamere integrate negli smartphone. C’è un detto tra gli addetti ai lavori secondo cui la migliore videocamera è quella che è sempre con noi. Quella pronta ad immortalare la scena in modo quasi istantaneo proprio nell’attimo in cui si svolge qualcosa di nostro interesse.
Cosa può esserci, quindi, di meglio di uno smartphone?
Nel mondo odontoiatrico si sta verificando qualcosa di simile. Seguendo lo stesso concetto di facilità, rapidità e prontezza all’uso i sistemi di registrazione si stanno spostando da fuori a dentro i nostri riuniti. Alcuni produttori hanno compreso le difficoltà dei dentisti e hanno integrato sistemi di registrazione, più o meno performanti ma di certo più pratici dei camcorder esterni, all’interno di un componente che è sempre presente nelle nostre sale operative, è sempre pronto all’uso ed è sempre a portata di mano: la lampada del riunito. I vantaggi di questa soluzione sono molteplici: ergonomia eccellente, visto lo snodo del braccio della lampada; assenza di cablaggi a vista e quindi ottima igiene; possibilità di intervenire direttamente sulla posizione della telecamera anche con i guanti addosso; semplicità di inquadratura secondo il principio che ciò che è illuminato è di certo inquadrato. Il posizionamento di una telecamera al centro della lampada migliora inoltre la qualità della documentazione in quanto le riprese coassiali sono prive di ombre. Infine, ma non meno importante, il maggiore beneficio di una tale scelta risulta ovviamente la qualità della luce: nessun flash o luce per videomakers sarà mai all’altezza di una luce odontoiatrica in quanto a temperatura, omogeneità, effetto scialitico, luminosità.
Rimarrebbero da risolvere i problemi relativi a messa a fuoco e monitoraggio ma alcune aziende, per migliorare l’esperienza utente dell’odontoiatra, hanno effettuato delle scelte strategiche anche in tal senso optando per sistemi con ottica fissa (scegliendo aperture che permettono una elevata profondità di campo) e messa a fuoco manuale. In tal modo l’operatore avrà sempre la certezza di una immagine bene a fuoco e di un campo di ripresa “centrato”.
Il prodotto di più recente introduzione e che certamente risolve tutte le problematiche sopra elencate è AlyaCam, dell’italiana Faro S.p.A.
L’azienda brianzola ha sempre puntato sulla qualità dell’illuminazione proponendo sistemi con un Colour Fidelity Index (Rf) al vertice del mercato (oggi si attesta sul valore di 97 su 100).Ad inizio del 2019 Faro ha deciso di lanciare una versione del suo prodotto di punta, Alya, con una telecamera integrata.
La soluzione di ripresa è una camera FullHD con sensore da 3.4 megapixel capace di registrare video a 1080p 30fps. quest’ultimo dato, molto interessante, indica che ogni fotogramma dei nostri video è di per se una foto piena di tutti i pixel che compongono l’immagine (immaginate di poter estrapolare da un video fino a 30 fotografie per singolo secondo e poter scegliere quella che meglio immortale “l’attimo”). Le ottiche, fisse, sono intercambiabili e vanno da 8mm per riprese grandangolari a 25mm per riprese “magnificate” con fattore d’ingrandimento di quasi 2.5x. La profondità di campo di ben 15cm rende questo sistema unico nella sua categoria. Basterà infatti settare una volta la messa a fuoco e poi posizionare la lampada sempre alla stessa distanza per ottenere sempre riprese perfettamente a fuoco (chi vi scrive adotta un semplice trucco: utilizzate il vostro braccio in massima estensione come metro di riferimento e difficilmente sbaglierete). In aggiunta ad un hardware di tutto rispetto il sistema, che ha una connettività di tipo USB2, è corredato da un software multipiattaforma (Win, Mac, Android) che permette al clinico di registrare “on the fly” qualsiasi procedura meritevole di essere archiviata semplicemente con la pressione di un pulsante o ancor meglio, in combinata con la pedaliera wireless, di un pedale. Basterà una pressione prolungata per avviare la registrazione, un singolo clic per inserire dei bookmarks nei momenti salienti di una ripresa e una seconda pressione prolungata per stoppare la ripresa.
I video saranno subito pronti sul nostro pc per essere rivisti, condivisi, archiviati, inviati al paziente o in laboratorio. Potremo, anche tra un paziente e l’altro, estrapolare gli attimi salienti di un intervento, inserirli in una presentazione o condividerli sui social (attività opinabile ma che al giorno d’oggi va molto di moda). Insomma: Riprese semplici e di qualità elevata in ogni momento della giornata. E se anche in odontoiatria vale il detto che la migliore telecamera è quella sempre con noi e sempre pronta all’uso...beh, ognuno tragga le proprie conclusioni.
A cura di: dott. Antonino Cacioppo, DDs, PhD, Prof.a.c. di Protesi II, Università degli studi di Catania
Con il contributo non condizionante di FARO
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