Il dibattito scientifico sulle potenzialità delle cellule staminali nella rigenerazione tissutale si fa sempre più interessante.
Per quanto si tratti di metodi sperimentali, non bisogna dimenticare che attualmente l'applicazione clinica segue spesso da vicino la ricerca e non è escluso che in un prossimo futuro queste tecniche possano essere applicate nei nostri studi. Abbiamo ritenuto utile affrontare questo argomento dal punto di vista della ricerca di base, per comprendere se vi siano dei rischi reali o potenziali in queste metodologie e quale sia la normativa che le regola.
Ne abbiamo parlato con Estella Musacchio, responsabile dell'attività di ricerca dell'unità operativa semplice di Diagnosi della patologia minerale e metabolica dell'osso dell'Università degli Studi di Padova, che si occupa in particolare dei meccanismi cellulari e molecolari alla base dell'attività di farmaci e fattori locali implicati nei processi di rimodellamento scheletrico.
Dal punto di vista biologico, qual è il significato delle cellule staminali e quali sono le loro caratteristiche principali?
Le cellule staminali sono le cellule grazie alle quali un organismo superiore realizza lo sviluppo ontogenetico e il mantenimento dell'omeostasi dei propri tessuti adulti. Si tratta di elementi indifferenziati in grado di mantenere la caratteristica di staminalità acquisendo al tempo stesso capacità differenziative, grazie alla proprietà unica di dividersi in modo asimmetrico.
Le cellule staminali hanno la capacità di differenziarsi non solo in cellule del tessuto di appartenenza, ma anche in altri tipi cellulari. Grazie a questa caratteristica è possibile ottenere cellule ossee a partire per esempio da staminali del tessuto adiposo.
Negli ultimi anni la ricerca si è focalizzata inoltre sulla riprogrammazione nucleare, cioè sulla possibilità di cancellazione e di rimodellamento di tratti epigenetici.
Questo argomento può sembrare non attinente al campo strettamente odontoiatrico, ma non dobbiamo dimenticare che oggi molto più che in passato l'applicazione clinica segue da vicino la ricerca di base e, per quanto al momento attuale si tratti solo di metodiche sperimentali, non è escluso che in un prossimo futuro possano essere utilizzate anche a livello ambulatoriale.
Esiste una normativa che regola l'impiego delle cellule staminali?
Le problematiche associate all'uso e soprattutto all'ottenimento di cellule staminali embrionali da blastocisti sono state e sono tuttora oggetto di discussioni a sfondo prevalentemente etico ed è noto che tali cellule non possono essere utilizzate in molti Paesi tra cui l'Italia, mentre ne è concesso il prelievo da cordone ombelicale.
Sotto questo aspetto, l'avvento delle iPS potrà consentire una maggiore libertà di azione sia in termini di disponibilità di materiale sia di durata, essendo le staminali adulte più limitate dal punto di vista della potenzialità replicativa.
La regolamentazione dell'uso delle cellule staminali adulte, pure oggetto di normativa rigorosa e in continuo aggiornamento, di pari passo con la ricerca scientifica, è certamente meno conosciuta. Nel 2007 l'Emea (European Agency for the Evaluation of Medicinal Products), ha emesso alcune direttive, in cui sono stati definiti Advanced Therapy Medicinal Products (Atmp), cioè prodotti medicinali per terapie avanzate. In seguito al recepimento di tali direttive da parte degli stati membri, il 30 dicembre 2008, le cellule staminali adulte sono state riconosciute "prodotto medicinale" a tutti gli effetti.
In quanto tali, il loro impiego è soggetto a regole e controlli estremamente rigidi e attenti, in modo esattamente sovrapponibile a quanto è previsto per i farmaci.
Vuole lasciare un "take home message"?
La medicina rigenerativa rappresenta senza dubbio il futuro verso cui la ricerca e l'applicazione clinica si rivolgeranno.
Allo stato attuale sappiamo però troppo poco sui reali rischi che si associano all'utilizzo di questi strumenti ed è saggio impiegarli con cautela, fintanto che trial clinici controllati condotti su un numero di pazienti molto elevato e con follow-up a lungo e lunghissimo termine non ne avranno dimostrato con rigore scientifico l'assoluta sicurezza di impiego.
È necessario valutare il rapporto rischio/beneficio di ogni intervento e soprattutto informare il paziente in modo chiaro e consapevole.
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