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17 Settembre 2018

Risolvere i difetti di ''white spot'' attraverso infiltrazione resinosa

Una procedure clinica (e rapida) per eseguire il trattamento

di Stefano Daniele


Nell’ambito dei difetti dello smalto è possibile ritrovare delle condizioni cliniche denominate “white spot", la cui peculiarità consiste nell’essere delle aree o strie ben circoscritte dal colore bianco latte.

La definizione di “white spot” è, tuttavia, molto riduttiva come in quanto con tale termine si intende una vasta famiglia di difetti che spaziano dalla fluorosi alle zone di smalto demineralizzato come conseguenza di processi di erosione acida.

In ogni modo, denominatore comune di questa moltitudine di difetti rimane la condizione che si tratta – per qualsiasi forma e causa eziologica – di lesioni dovute a demineralizzazione dello smalto.

La trattazione di questo articolo riguarderà solo ed esclusivamente i difetti dello smalto di colore bianco in aree estetiche che non riconoscono una causa erosiva, ma solo una istologia intrinseca dello smalto a minor contenuto minerale, condizione che fa assumere a questi difetti un colore bianco come conseguenza di un diverso indice di rifrazione della luce rispetto allo smalto sano e normale.

Tra le principali condizioni patologiche responsabili della comparsa di macchie o strie bianche nello smalto dei settori frontali possiamo riconoscere:

  • ipoplasie dello smalto;
  • fluorosi di grado moderato, in generale dal grado 1 al grado 4 (Cavalheiro et al., 2017);
  • Molar-Incisor Demineralization “MIH” di grado lieve (mild MIH).

Il trattamento delle macchie bianche – per le cause eziologiche sopraccitate – può essere condotto mediante l’infiltrazione resinosa che consiste nel demineralizzare ulteriormente l’area mediante un trattamento mordenzante aggressivo (acido cloridrico 15%) per poi infiltrare questa zona resa molto porosa con una resina fluida in grado, per capillarità, di riempire gli spazi vuoti presenti tra i cristalli di idrossiapatite.

Il principio del trattamento, come già detto, si basa sulla modifica dell’indice di rifrazione alla luce incidente della zona trattata mediante l’infiltrazione resinosa. Difatti lo smalto sano, normale e idratato dalla saliva ha un indice di rifrazione pari a 1.62, lo smalto demineralizzato della macchia bianca compreso tra 1.00 e 1.33 mentre lo stesso difetto trattato mediante infiltrazione resinosa acquisisce un indice di rifrazione pari a 1.52 e quindi molto vicino a quello dello smalto sano con una lieve differenza che non è percepibile dall’occhio umano (Paris et al., 2013).

Il principio si basa quindi su un trattamento in grado di modificare l’interazione della luce con lo smalto e quindi la percezione visiva da parte dell’osservatore esterno. In ogni modo, non tutti i difetti bianchi dello smalto hanno una completa riuscita di trattamento come conseguenza dell’infiltrazione resinosa, vale a dire che le macchie bianche che si spingono in profondità nello spessore dello smalto appaiono molto più refrattarie alla risoluzione mediante tale procedura.

Da quanto detto appare importante condurre un’attenta – e più possibile predicibile – valutazione pre-operatoria della profondità della macchia poiché il risultato finale sarà inevitabilmente diverso riguardo la loro scomparsa ed è importante comunicare tale condizione al paziente per non generare false aspettative o contenziosi, anche solo verbali.

Una macchia o stria diagnosticata come superficiale ha un’alta percentuale di successo e risoluzione e quindi è possibile sbilanciarsi maggiormente con il paziente sull’efficacia del trattamento, mentre una macchia o stria diagnosticata come profonda, o mediamente profonda, nello smalto impone cautela nel comunicare al paziente l’efficacia totale del trattamento, parlando magari di un deciso miglioramento ma non della scomparsa in toto del difetto.

I metodi diagnostici per valutare la profondità nello smalto di una macchia o stria bianca non sono così predicibili: riveste grande importanza l’esperienza dell’operatore e l’impiego dell’indagine strumentale della transilluminazione palatale. In maniera abbastanza empirica, è possibile affermare che se posizionando una fonte di luce palatale la macchia tende a illuminarsi in modo deciso è molto probabile che si trova nel primo spessore dello smalto, mentre una scarsa illuminazione generalmente significa maggiore profondità e, come già accennato, maggiore refrattarietà all’infiltrazione resinosa.

Prima di descrivere i procedimenti clinici della metodica occorre enfatizzare che non è l’unica procedura per risolvere i difetti di colore bianco dello strato superficiale dello smalto, ma sicuramente appare quella più rapida (basta una seduta alla poltrona) e nei tempi in cui viviamo il fattore “tempo” assume notevole importanza anche per i trattamenti medici o medico-estetici, come in questo caso.

Le alternative di trattamento possono essere identificate nella rimineralizzazione mediante creme a base di calcio e fosfato in matrice di caseina oppure nella micro-abrasione dello smalto, anche se quest’ultima appare in alcuni casi una procedura rischiosa poiché agisce su tutta la superficie dello smalto e può esporre a una caduta del valore o della luminosità di tutta la superficie del dente (in genere, la micro-abrasione trova indicazione per lo smalto translucente ove la caduta di valore è contenuta).

Di seguito, riportiamo le procedure cliniche per applicare l’infiltrazione resinosa sui difetti bianchi dello smalto.

  • Isolamento del campo operatorio con la diga di gomma in virtù dell’impiego di acidi aggressivi e protezione delle congiuntive del paziente mediante occhiali protettivi.
  • Applicazione sul difetto bianco di un giusto quantitativo di gel a base di acido cloridrico al 15% seguendo i tempi e le modalità di applicazione del fabbricante.
  • Risciacquo del gel a base di acido cloridrico mediante getto d’acqua.
  • Applicazione di una soluzione di alcol al 90% al fine di disidratare completamente le micro-porosità create all’interno del difetto bianco.
  • Applicazione dell’infiltrante resinoso mediante un’applicazione attiva “brushing” seguendo i tempi e le istruzioni del fabbricante.
  • Fotopolimerizzazione dell’infiltrante resinoso seguendo i tempi consigliati dal fabbricante.
  • Ulteriore fase di fotopolimerizzazione di pochi secondi ricoprendo l’area con un gel di glicerina per polimerizzare lo strato superficiale inibito dall’ossigeno ambientale.
  • Lucidatura superficiale della zona trattata con gommini e paste brillantanti.

In ultima analisi, parlando dell’infiltrazione resinosa bisogna considerare l’efficacia nel tempo della procedura in quanto l’infiltrante impiegato è molto fluido ed è costituito da un particolare monomero resinoso chiamato TEGDMA e un solvente. Il TEGDMA è un monomero non molto stabile quando inserito nell’ambiente orale e quindi bisogna considerare se dal punto di vista cromatico l’infiltrante resinoso potrà rimanere stabile nel tempo oppure potrebbe andare incontro a discolorazione con importanti ricadute estetiche dell’area infiltrata.

In letteratura non ritroviamo dati a medio-lungo termine riguardo tale aspetto a differenza dei dati riguardanti la procedura d’infiltrazione resinosa delle lesioni cariose iniziali in E1 e E2 che invece mostrano discreti risultati nel medio termine. Si attendono le prove di efficacia e stabilità nel lungo termine.


Figura 1 Strie biancastre sulla superficie vestibolare di 1.1, 2.1, 1.2, 2.2Figura 1 Strie biancastre sulla superficie vestibolare di 1.1, 2.1, 1.2, 2.2

Figura 2 Valutazione della profondità del difetto mediante transilluminazione palataleFigura 2 Valutazione della profondità del difetto mediante transilluminazione palatale

Figura 3 Applicazione del gel mordenzante a base di acido cloridrico al 15%Figura 3 Applicazione del gel mordenzante a base di acido cloridrico al 15%

Figura 4 Applicazione, mediante puntale dedicato, della soluzione di alcol 90% dopo risciacquo del gel mordenzanteFigura 4 Applicazione, mediante puntale dedicato, della soluzione di alcol 90% dopo risciacquo del gel mordenzante

Figura 5 Applicazione su 1.1 e 2.1 dell’infiltrante resinoso a base di TEGDMAFigura 5 Applicazione su 1.1 e 2.1 dell’infiltrante resinoso a base di TEGDMA

Figura 6 Le procedure mostrate in figura 5 sono ripetute anche su 1.2 e 2.2Figura 6 Le procedure mostrate in figura 5 sono ripetute anche su 1.2 e 2.2

Figura 7 Fotopolimerizzazione supplementare dell’area infiltrata mediante protezione con gel di glicerina a protezione dell’ossigeno ambientaleFigura 7 Fotopolimerizzazione supplementare dell’area infiltrata mediante protezione con gel di glicerina a protezione dell’ossigeno ambientale

Figura 8 Caso ultimato al controllo a 6 mesiFigura 8 Caso ultimato al controllo a 6 mesi


Per approfondire

  • Cavalheiro JP, Bussaneli DG, Restrepo M et al. Clinical aspects of dental fluorosis according to histological features: a Thylstrup Fejerskov Index review. Rev CES Odont 2017;30(1):41-50.
  • Paris S, Schwendicke F, Keltsch J et al. Masking of white spot lesions by resin infiltration in vitro. J Dent 2013;41(5) e28-34. 

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