30 Settembre 2006
Fondo integrativo per odontoiatri. Cerchiamo di capirci di più
di A. Telara
Cambiano i premier, le maggioranze e i ministri dell’Economia, ma ogni anno, puntuale come un orologio, il tono delle polemiche tra governo e parti sociali, sindacati e associazioni di categoria, subisce un’improvvisa fiammata con l’approssimarsi del varo della legge finanziaria. La materia del contendere è quasi sempre la stessa: le pensioni, cioè la voce più importante tra i capitoli della spesa pubblica made in Italy.
Anche nel 2006 il copione è stato rispettato: l’esecutivo diretto da Romano Prodi vorrebbe infatti innalzare l’età pensionabile (attraverso degli incentivi) e trova di fronte a sé un fuoco di sbarramento, dentro la stessa maggioranza che lo appoggia e da parte dei rappresentanti dei lavoratori. Tra i temi dibattuti, seppur un po’ più in sordina, vi è anche quello della previdenza integrativa, che nel nostro paese non riesce a decollare ramente e che, invece, dovrebbe svolgere in futuro un ruolo tutt’altro che trascurabile nella vita degli italiani.
Quale ruolo? In pratica, aiuterà le giovani generazioni di oggi a crearsi una pensione di scorta, integrativa dell’assegno mensile erogato dall’Inps.
Un assegno che sarà sempre più magro, per effetto della riforma Dini, entrata invigore nel 1996 e che, quando giungerà a pieno regime, costringerà i contribuenti a tirare pesantemente la cinghia.
Il motivo?
Semplice: la riforma Dini introduce progressivamente un metodo di calcolo delle pensioni meno vantaggioso per il lavoratore. È il sistema contributivo che pian piano prenderà il posto di quello retributivo, attualmente in vigore. Risultato: i giovaniche oggi hanno ancora 35 o 40 anni di contributi da versare, al momento di congedarsi dal lavoro riceveranno una pensione pari, in media, a non più del 50 percento dell’ultima retribuzione. Poco.
E anche le generazioni un po’ meno giovani, rappresentate da chi nel 1996 aveva comunque meno di 18 anni di carriera alle spalle, non hanno di che rallegrarsi: pure loro, per effetto della riforma, riceveranno dall’Inps un trattamento tutt’altro che generoso e senza dubbio insufficiente ad affrontare in modo sereno gli acciacchi della terza età.
Esempi di rendita vitalizia ottenibile a seconda del capitale maturato, investendo in un fondo Pensione
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Esempi di rapporto tra capitale accumulato (versamenti + rendimenti) e rendita vitalizia calcolato utilizzando un coefficiente medio di conversione per età di 65 anni. (Legge 335/95). |
Fonte: Brochure informativa del Fondo Dentisti |
Come correre, dunque, ai ripari?
Per i lavoratori dipendenti e gli autonomi, compreso chi svolge la professione di odontoiatra, la soluzione è pressoché una sola: costruirsi una rendita vitalizia supplementare in vista della vecchiaia, grazie appunto agli strumenti della previdenza integrativa.
In Italia ve ne sono di tre tipi: le polizze assicurative (finite spesso nel mirino delle associazioni dei consumatori perché giudicate troppo costose), i fondi pensione chiusi o negoziali (destinati esclusivamente ad alcune categorie professionali) e i fondi aperti. Quest’ultimi sono per lo più creati dalle banche, dalle compagnie di assicurazione o dalle società di gestionedel risparmio e hanno come destinatari quasi sempre i lavoratori autonomi.
Compresi gli odontoiatri, dunque? Non proprio.
FONDO AD HOC
Gli odontoiatri sono infatti una delle poche categorie professionali che, sin dal 1999-2000, è stata capace di dar vita a un proprio fondo pensione chiuso o di categoria. Si chiama Fondo Dentisti (www. fondodentisti.it) e possono aderirvi tutti coloro che risultano autorizzati, secondo le norme di legge, a svolgere l’attività di odontoiatra sul territorio italiano.
Per acquisire una certa dimestichezza con questo particolare tipo di prodottofinanziario, occorre anzitutto capirne nei dettagli il funzionamento. In pratica, un contribuente che vi aderisce è obbligato a destinarvi periodicamente (per esempio ogni anno od ogni mese) una parte del proprio reddito. Il denaro versato finisce nel fondo e viene poi investito sui mercati finanziari, in modi differenti a seconda delle preferenze indicate dallo stesso contribuente: in azioni, per chi è disposto a correre qualche rischio legato all’andamento delle borse,in obbligazioni o nel mercato monetario, cioè in titoli a reddito fisso di brevissima scadenza, per chi invece vuole andare un po’ più sul sicuro.
Quando giunge la data del pensionamento (sia di vecchiaia, sia di anzianità purché, in quest’ultimo caso, si siano accumulati iù di 15 anni di lavoro) il sottoscrittore del fondo avrà dunque maturato un patrimonio personale, rappresentato dalle quote versate, più gli eventuali rendimenti ottenuti. Il capitale verrà allora trasformato in una rendita vitalizia che accompagnerà il beneficiario sino alla morte e rappresenterà, di fatto, una fonte di sostentamento ulteriore rispetto all’assegno pensionistico erogato dalle autorità pubbliche.
In alternativa, è possibile anche riscattare, al momento del congedo dal lavoro, il 50 per cento della somma di denaromaturata e destinare la restante metà alla “pensione di scorta”.
Da non dimenticare, infine, che chi aderisce a un fondo pensione riceve, durante la carriera, anche un beneficio fiscale: le quote di denaro versate ogni anno, infatti, possono essere dedotte dal reddito imponibile, determinando dunque un risparmio sulle tasse, variabile a seconda dell’aliquotamedia pagata dal contribuente stesso.
A dire il vero, però, il legislatore è intervenuto a fissare dei paletti, stabilendo un limite massimo per l’ammontare di tale deduzione, che non può mai superare il 12 per cento del reddito annuo dichiarato e, comunque, i 5.164 euro ogni 12 mesi. Altro particolare da prendere in considerazione è il trattamento previsto in caso di morte prematura dell’iscritto al fondo, prima che abbia raggiunto l’età del pensionamento. Le somme da lui versate ovviamente non prendono il volo né vengono trattenute dai gestori del fondo stesso.
A riscattarle, compresi i rendimenti, sono infatti i suoi eredi naturali o, eventualmente, altri beneficiari indicati in maniera esplicita dal contribuente. Chi fosse davvero intenzionato ad avvicinarsi al mondo delle previdenza complementare, deve compiere ancora alcuni passaggi significativi.
In primis, porsi un interrogativo ben preciso: quanto conviene versare durante la vita lavorativa per ricevere, alla fine, un assegno consistente?
Difficile stabilirlo a priori.
Per orientarsi, conviene forse tenere a mente le simulazioni di Assoprevidenza, societàspecializzata nello studio dei fondi pensione.Gli esperti stimano che, tra le somme versate e le rendite ricevute come contropartita, vi sia mediamente un rapporto di1 a 2.5. Detto i soldoni: destinando ai fondi, per 35 o 40 anni, il 10 per cento del proprio reddito, si ottiene in cambio (al momento del congedo dal lavoro) un vitalizio pari in media al 25 per cento dell’ultima retribuzione.
Si tratta di una somma che, naturalmente, si andrà ad aggiungere alla pensione pubblica garantita dallo stato.
La stima appena enunciata si basa però su un’ipotesi di fondo, abbastanza prudente, cioè che il prodotto della previdenza complementare prescelto renda in media il 4 per cento circa ogni 12 mesi. Un’altra simulazione che può aiutare i“futuri i pensionati” a chiarirsi le idee è quella riportata nella tabella in pagina, realizzata secondo alcuni criteri stabilitidalla riforma Dini.Chi, ad esempio, interrompe la propria attività a 65 anni e riesce ad accumulare (con un fondo pensione) un capitaledi poco più di 50mila euro, riceve una rendita di 3.600 euro lordi circa all’anno, vale a dire attorno a 300 euro al mese.
Che salgono a oltre 16.650 euro lordi all’anno, ovvero attorno a 1.380 euro al mese, se il capitale accumulato supera i250mila euro. Infine, l’ultima tappa da compiere è un’attenta analisi dei portafogli del Fondo Dentisti: attualmenteesistono infatti tre diverse linee di gestione, a seconda della propensione al rischio del sottoscrittore.
La prima si chiama Scudo ed è più prudente, cioè investe solo in obbligazioni e titoli a reddito fisso.
Ciononostante, è la linea che ha viaggiato meglio di tutte, visto che il valore unitario delle quote del fondo è passato (tra il 2000, anno della partenza, e ilmaggio del 2006) da 10,33 a oltre 12,57 euro. In pratica, chi all’inizio del millennio avesse investito 1.000 euro, oggi se ne ritroverebbe in portafoglio circa 1.200. La seconda linea, che si chiama Progressione, investe per lo più in obbligazioni ma ha anche un parte azionaria.
Negli ultimi sei anni, il valore delle singole quote è passato da 10.33 a 10.56 euro. Non è una gran performance, masempre meglio di quella messa a segno dalla Linea Espansione, prevalentemente azionaria, le cui quote sono scese(sempre tra il 2000 e il 2006) da 10,33 a 8,38 euro.
Sono dunque in perdita, anche se tale raffronto può essere fuorviante, giacché prende in considerazione un periodo di tempo abbastanza limitato: soltanto 72 mesi, durante iquali le borse hanno sofferto a lungo, a causa di molte turbolenze internazionali, a cominciare dalla crisi successivaall’11 settembre.
Nel lungo termine, cioè oltre i 10 anni, l’investimento azionario può infatti rivelarsi spesso molto piùpremiante rispetto a quello in titoli di stato o in altre obbligazioni.
L’andamento delle tre linee di gestione: in rosso “Scudo”, in blu “Progressione”, in nero”Espansione”.
Per completare il quadro manca solo il calcolo dei costi. Tra i prodotti della previdenza complementare, i fondi di categoria (come appunto quello dei dentisti) sono senz’altro i meno onerosi. Le voci di spesa più significative sono rappresentate dalle commissioni che servono per remunerare i gestori, cioè le case d’investimento che hanno ricevuto il compito di amministrare e far fruttare il patrimonio. Nel caso del Fondo Dentisti si tratta di Deutsche Asset Management (Gruppo Deutsche Bank), Invesco e Azimutsgr.
Ogni anno, i gestori trattengono per sé una quota del portafoglio investito variabile (a seconda delle linee di investimento) tra lo 0,08 per cento e lo 0,2 per cento.
Non è molto, se raffrontato ai fondi pensione aperti, che hanno commissioni ben più salate, tra o 0,6 per cento e il 2 per cento.
GdO2006; 13
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