Trent’anni di grandi cambiamenti, che, anche grazie all’opera di sensibilizzazione portata avanti dagli odontoiatri, hanno avvicinato la popolazione all’igiene orale e hanno trasformato il dentista da un lusso che soli pochi potevano permettersi a un professionista fondamentale per la salute. Ma la formazione pratica dei dentisti in erba, almeno in alcune zone d’Italia, è un aspetto su cui le università hanno ancora molto lavoro da fare. Questo il bilancio di Pierluigi Sapelli, professore ordinario di Odontostomatologia e direttore della Clinica odontoiatrica dell’Università di Brescia, sul periodo trascorso da quando, trent’anni fa, è stato dato l’avvio al primo corso di laurea in Odontoiatria. Siamo andati a sentirlo, oltre che per fare il punto sulla situazione attuale, anche per farci raccontare com’è stato studiare trent’anni fa.
Professore, lei è stato tra i primi ad attivare il corso di laurea di Odontoiatria quando è stato istituito nel 1980. Ci può fare un quadro su com’era all’inizio?
Ricordo quando Sandro Pertini, l’allora presidente della Repubblica, firmò il Decreto (Dpr 135 del 28 febbraio 1980) per istituire, in seno alla facoltà di Medicina, il corso di laurea in Odontoiatria e protesi dentaria. Fu un provvedimento preso in tutta fretta, per recepire le direttive della Comunità europea che imponevano di avere i primi laureati in base al nuovo corso di studi già nel 1984. E così fu in effetti. Anche grazie, devo dire, alla mossa di attivare contemporaneamente i primi due anni, facendo accedere direttamente al secondo anno lo studente che proveniva dal corso di laurea in Medicina.
Comunque il corso di laurea non partì fin da subito in tutta Italia: ce la fecero solo in otto, nove sedi.
Quali furono le difficoltà?
Le tribolazioni furono molte. Siamo partiti all’italiana, come quando sono stati mandati in Albania i soldati con le scarpe di cartone. Eravamo impreparati, senza contare poi le difficoltà connesse a una nuova esperienza: mancavano le strutture, il personale, i finanziamenti. C’erano solo gli studenti, pochi rispetto a oggi, e pochi professori. Contestualmente alla legge infatti erano stati mandati alle facoltà venti nuovi ruoli per docenti. Di questi, poi, parte sono stati dedicati alle discipline odontoiatriche del corso di laurea in Odontoiatria e parte alle discipline non specialistiche. Le tribolazioni andarono ben oltre i primi giorni. Ci furono degli aiuti da parte del corso di laurea in Medicina, ma in generale non fu visto di buon occhio lo storno di risorse al nuovo corso di laurea.
I sacrifici insomma non mancarono, ma con risultati a macchia di leopardo. Le sedi universitarie in cui erano già attive e ben strutturate scuole di specializzazione in Odontoiatria ebbero la vita più facile. Diciamo però che qualche sede universitaria si impegnò più di altre.
Che differenze c’erano nel programma rispetto a oggi?
Una in particolare: non c’era una grande attenzione alla pratica clinica. Anche oggi gli studenti incontrano il paziente troppo tardi e troppo poco, ma all’epoca era peggio. All’inizio la pratica veniva fatta al manichino - ma i manichini non ci furono subito in tutte le sedi. La prima aula per la pratica preclinica - con venti manichini - è stata realizzata nell’83 all’Università di Ancona. Piano piano anche alcune altre università italiane si sono attrezzate. Poi per fortuna c’è stato un indirizzo dall’Unione europea che ha orientato la formazione odontoiatrica verso una maggiore esperienza clinica a fronte di quella preclinica. I corsi di laurea nati più tardi erano meglio strutturati. Nel 1988, facilitata dal fatto di costituirsi da zero, la struttura di Brescia fu progettata per il Corso di laurea in odontoiatria.Ma la preparazione rimane inferiore alla migliore auspicabile. Devo dire che nel percorso che ci ha portato fino a qui si è messa di mezzo la questione dei ricorsi contro il numero chiuso. La programmazione che era stata fatta in molte università, soprattutto per quanto riguarda il momento del contatto dello studente con il paziente, è saltata anche a causa di questo.
Comunque l’Italia riconferma una situazione a macchia di leopardo, con sedi invidiate nel resto dell’Europa e sedi in cui ci si maschera dietro alla responsabilità civile professionale pur di non avviare gli studenti alla pratica. Ma la verità è che i discenti vanno controllati. E di conseguenza i docenti devono rinunciare ad attività extra per seguirli. D’altra parte viviamo in una società in cui si pensa che, per rifarsi all’aforisma di Cartesio, “guadagno, dunque sono”; e il docente universitario, che non svolga attività extrauniversitaria, guadagna veramente poco al confronto con i colleghi europei.
Quali erano le competenze richieste trent’anni fa all’odontoiatra? E quali prospettive c’erano nel momento in cui si intraprendeva il percorso universitario?
In trent’anni la domanda di cure è cresciuta moltissimo, ma ancora di più è cresciuta l’offerta, cioè il numero dei professionisti. Anche se c’è, e andrà aumentando con gli anni, il turn over dei pensionati, è un problema che si sta facendo sempre più forte.
Senza dimenticare la questione dei costi: oggi c’è una tendenza alle prestazioni low cost incredibile. Volendo pensare che il risparmio non derivi da una minore qualità, è evidente che i professionisti vengono pagati molto meno.
Trent’anni fa i dentisti erano pochissimi. E se è vero che era facilissimo lavorare male, perché mancavano i controlli che ci sono oggi, è anche vero che la percentuale dei professionisti che facevano lavori di eccellenza era molto maggiore. In una grande città per esempio c’erano duecento dentisti, di cui trenta capaci di operazioni di altissimo livello. Oggi i dentisti sono duemila, ma contando chi fa prestazioni d’eccellenza non si raggiungono, proporzionalmente, i trecento professionisti. Al contempo la qualità media degli altri quasi 1700 è grandemente migliorata.
E questa evoluzione è un bene?
Questa evoluzione ha implicato, in termini di qualità, un progresso. Quello che è certo comunque è che la salute orale complessiva ha oggi raggiunto livelli molto più elevati rispetto a tempo fa. All’epoca il dentista era quasi un lusso. Gli interventi erano molto cari e non erano certo accessibili a tutti. Oggi invece non solo ci si cura di più, ma le pratiche di igiene orale, sia domiciliari che professionali, fanno parte ormai della quotidianità della maggior parte della popolazione. Ci sono stati anni di sensibilizzazione e informazione della cittadinanza che hanno avvicinato il dentista agli italiani.
Un altro fatto che occorre considerare è che è cambiata la domanda di salute. Ora per esempio c’è una maggiore attenzione da parte del paziente a parametri estetici. E devo dire che è un campo in cui una buona qualità è più facilmente raggiungibile.
In generale a essere cambiato è il bisogno di salute. Da un lato occorre considerare l’impatto dell’utilizzo del fluoro che, insieme ai programmi di prevenzione ed educazione, ha ridotto la presenza delle carie. Ma soprattutto lo spettro delle patologie con cui oggi ci troviamo ad avere a che fare è molto diverso, non solo perché le tecnologie e le conoscenze che abbiamo ci permettono di diagnosticare malattie che prima non venivano riconosciute, ma anche perché la vita media delle persone si è allungata incredibilmente. Un effetto di questo trend demografico è stato l’aumento delle patologie legate all’età più avanzata. Occorre poi considerare anche che in molti casi la vita si è allungata grazie all’utilizzo di farmaci. Pensiamo per esempio alle patologie oncologiche. È noto che il farmaco presenta una serie di effetti collaterali. Ci siamo trovati allora a dover gestire patologie, legate per esempio all’uso della chemioterapia o della radioterapia, che prima ci erano sconosciute; così come, spesso, antiipertensivi e psicofarmaci, di uso sempre più frequente, possono causare patologie mucogengivali.
Complessivamente, come valuta questi trent’anni?
Adesso siamo a un livello generale enormemente più alto rispetto a trent’anni fa: l’odontoiatra è preparato molto meglio. Certo le cose potrebbero andare ancor meglio, soprattutto se ci ispirassimo di più ad alcuni modelli europei - ma anche a certe sedi italiane - che valorizzano davvero la pratica.
In questo senso il passaggio a sei anni del corso di laurea dovrebbe aiutare?
È prevalentemente una diversa distribuzione del percorso formativo che potrebbe ricavare più spazio per la pratica clinica. Un’altra buona novità potrebbe essere la specializzazione in odontoiatria generale. Si tratta di un espediente per allargare la rete di odontoiatri pubblici, che, nel pubblico, possono essere assunti per legge solo se hanno una specializzazione. L’idea alla base è quella di costituire sul territorio una rete di pronto soccorso dentistico h24, in cui il cittadino possa ricevere prestazioni di emergenza/urgenza gratuite.
GdO 9;2010
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