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07 Giugno 2010

Andi: un cambio al vertice nel segno della continuità

di Norberto Maccagno


Con l’abbraccio, sincero, tra Francesco Scarparo e Gianfranco Prada, candidati alla presidenza dell’Associazione nazionale dentisti italiani (Andi) per i prossimi quattro anni, si chiude un interessante congresso elettivo che ha “incoronato” Gianfranco Prada (297 voti, contro 185) come tredicesimo presidente nazionale Andi, che raccoglie, ancora prima di iniziare, due primati: è il più giovane presidente Andi ed è anche il primo presidente laureato in odontoiatria.
È stato Luigi Daleffe, uno degli ex presidenti Andi presenti, a fotografare meglio di altri come Prada interpreterà il suo mandato: “Non si può rinnegare il passato”, ha detto Daleffe nella sua dichiarazione di voto, “ma si deve guardare al futuro”.
Gianfranco Prada, da parte sua, ha questo obiettivo: dare un senso al lavoro svolto nei due mandati precedenti pensando a una odontoiatria nuova, che sappia guardare alle nuove opportunità che il mercato offre, “ma senza rinnegare le nostre radici”. Siamo andati a sentirlo per capire come intende impostare il programma per il prossimi quattro anni.
Dottor Prada, lei è il primo laureato in Odontoiatria alla guida del più rappresentativo sindacato di dentisti. Che cosa significa questo fatto per un settore dove i posti che contano fino a ora erano occupati esclusivamente da laureati in Medicina?
Certamente ha un valore simbolico. La mia elezione anticipa quanto in futuro sarà una normalità. Oramai l’unico percorso formativo che permette di diventare dentisti passa dal corso magistrale in Odontoiatria e protesi dentaria. Il cambio generazionale, che auspico avvenga anche nelle altre organizzazioni, porterà a vedere sempre più odontoiatri alla guida di associazioni e istituti del settore.
Sono però convinto che la mia elezione sia avvenuta per il progetto che abbiamo presentato e non per la mia laurea. Il fatto che una associazione che spesso, a torto, viene indicata come rappresentante del vecchio sistema sia l’unica a essere guidata da un odontoiatra e ad aver inserito nel proprio statuto una norma che preclude a chi non esercita in maniera esclusiva la professione di diventare dirigente è la conferma di come spesso, per denigrare l’Andi, si dicano tante cose non vere.
Gli iscritti con meno di 49 anni rappresentano la metà degli iscritti totali e ogni anno aderisce all’associazione il 70% dei neo laureati.
Indubbiamente sta finendo un’epoca. C’è ora la difficoltà di riuscire a traghettare la professione come l’hanno intesa i nostri maestri adattandola alle regole imposte oggi dal mercato, ma senza snaturala. Guidarla senza discontinuità con quanto fatto dai miei predecessori che, anche se non odontoiatri, hanno lavorato per il nostro futuro.
Il mio sogno è che la scelta che io e tanti altri colleghi giovani laureati abbiamo fatto tanti anni fa confluendo in Andi riesca finalmente a favorire la creazione di una unica rappresentanza sindacale dei dentisti italiani.
Andiamo con ordine. Quando parla di scelta intende aver abbandonato il sindacato di cui era segretario provinciale per entrare in Andi?
Sì, appena laureato mi sono impegnato da subito nell’Associazione italiana odontoiatri (Aio) di Como. Poi l’incontro del direttivo con un personaggio straordinario, Ivano Casartelli, ci convinse che, per far valere le nostre istanze, non servivano nuove associazioni, ma numeri e idee. Cominciammo ad avvicinaci ad Andi e quando ci sembrò che la spinta propulsiva di Aio stesse terminando, Casartelli ci fece incontrare l’allora presidente Malagnino. Capimmo allora che l’Andi avrebbe potuto farsi carico anche delle istanze di noi giovani odontoiatri e che il suo peso politico avrebbe accelerato la soluzione di molti dei nostri problemi. Assieme ai miei colleghi del direttivo provinciale di Aio decidemmo di sciogliere la sezione e trasferirci in blocco in Andi.
In generale la sua posizione è che dovrebbe esserci un sindacato unico che rappresenti tutta la professione?
Sì, auspico che noi odontoiatri italiani possiamo finalmente riconoscerci in una unica associazione. Un modo anche per sancire definitivamente che i dentisti sono tutti la stessa cosa. Cosa che poi, nella pratica delle professione, al di là della laurea, già è così. Una sola rappresentanza sindacale darebbe più forza, più peso politico, all’intera professione. Spesso le differenze nel modo di intendere la professione nascono solo dall’esigenza di una associazione di volersi differenziare rispetto a un’altra. Mentre ritengo che oggi più che mai gli obiettivi siano comuni.
Sarà, ma anche seguendo il vostro congresso elettivo mi sembra che le posizioni sui fondi e sui convenzionamenti, per fare un esempio, non siano molto omogenee.
Secondo me, il tema dei fondi integrativi viene troppo strumentalizzato. Se è vero che ci saranno risorse che possono essere impiegate per le cure odontoiatriche, perché i dentisti liberi professionisti non devono potervi accedere? Perché a priori dobbiamo dire no?
L’importante è che queste risorse possano essere acquisite dagli studi dentistici dei liberi professionisti e non dalle grosse strutture gestite dalle società di capitale.
L’importante è che questo non stravolga l’attuale modalità di esercizio della professione basato sul dentista libero professionista con lo studio distribuito in maniera capillare sul territorio e che offre prestazioni di qualità. Ma per impedire questo ci si deve sedere al tavolo delle trattative con il Governo e i gestori dei fondi, con proposte serie. Voler dialogare non è svendere la professione, anzi è l’esatto opposto.
Ma è possibile trovare un equilibrio tra fondi e professione?
Secondo me sì, è possibile. Anzi dobbiamo riuscirci. Ovviamente non esiste una ricetta unica, il percorso deve essere studiato con tutte le parti in causa, mantenendo fermi i punti cardine della professione. Ma dobbiamo essere disponibili al dialogo, a valutare le proposte cercando di trovare il giusto compromesso. Se tutti ci impegniamo senza pregiudizi e senza paure verso le novità, sono sicuro che riusciremo a trovare una soluzione utile al futuro della professione.
Da tempo sostengo che la vostra categoria sia divisa in due anime. Una che cerca di mantenere il più a lungo possibile l’attuale posizione professionale per arrivare alla pensione, un’altra, composta dai professionisti più giovani, che guarda invece con interesse le nuove opportunità offerte dal mercato. Come si conciliano queste due visioni della professione?
Una sfida sarà sicuramente quella di tutelare e conciliare queste due visioni. Dobbiamo garantire un futuro sereno a chi sta concludendo la propria attività, ma anche a coloro che continueranno a svolgere la libera professione e a quelli che si apprestano a esercitarla.
E non solo: come associazione dobbiamo saper dare risposte a coloro che non riusciranno ad aprire un proprio studio e che sceglieranno di svolgere la professione come collaboratori o come dipendenti. Cosa che fino a qualche anno fa era impensabile.
Su questo punto la lungimiranza della precedente dirigenza, che ha spinto per entrare a far parte di Confprofessioni, ci permette oggi di dialogare anche sul tema dei rinnovi contrattuali.
Fondamentale sarà poi lo sviluppo di quel patto generazionale che abbiamo lanciato a Cernobbio al Workshop di Economia in Odontoiatria che dovrà permettere ai giovani di rivolgersi agli studi già avviati per entrare nel mondo del lavoro e non a strutture come il franchising o i service odontoiatrici. E questo consentirà agli studi di avere un futuro anche dopo il pensionamento del titolare.
Il rischio infatti è che sia il capitale a creare e gestire le strutture odontoiatriche e questo non solo sarà un male per i dentisti liberi professionisti, ma anche per i pazienti che perderanno uno dei punti cardine dell’assistenza odontoiatrica: il rapporto diretto con il proprio dentista.
Per raggiungere l’obiettivo dovremo trovare i giusti strumenti fiscali, normativi e legislativi. La tutela dei giovani è uno degli obiettivi che ci siamo posti. Continueremo a batterci affinché il Ministero della Salute consenta ai laureati in odontoiatria di partecipare ai concorsi pubblici senza dover prendere la specializzazione.
Tra i tanti progetti del programma elettorale c’è anche la costituzione del network Andi. Di che cosa si tratta?
Questo è un grande progetto. Sintetizzandolo, si tratta di valorizzare e promuovere il più possibile la libera professione e lo studio monoprofessionale, ma anche costituire uno strumento efficace che consentirà al singolo studio di competere con le grosse strutture sul piano pubblicitario e della informazione ai cittadini. E questo sfruttando le risorse organizzative e economiche dell’associazione. Calibreremo il progetto partendo, già tra qualche mese, da due sezioni provinciali che si sono dichiarate disponibili.
È un ritorno all’idea avanzata anni fa del “bollino di qualità” degli studi dentistici?
No, non c’entra nulla con la certificazione di qualità e nemmeno vogliamo creare dentisti di serie A e di serie B. È la continuazione del percorso avviato con il Progetto periferia e Obiettivo sorriso. Vogliamo dare le stesse possibilità, in termini di visibilità e comunicazione, agli studi dei nostri soci rispetto alle strutture più grandi e organizzate. Ma sarà anche un modo per spiegare ai cittadini i vantaggi di rivolgersi a un dentista libero professionista. Un modo per contrastare il low-cost italiano ed estero.
Spesso l’Andi è criticata perché offre troppi servizi.
Queste fanno parte delle tante critiche strumentali che ci vengono rivolte da chi non ha progettualità. La nostra attività sindacale è sotto gli occhi di tutti, così come i risultati ottenuti in questi anni per il bene della professione. I servizi che vengono messi a disposizione dei soci permettono di gestire gli studi in maniera più efficace, abbattendo costi e burocrazia. Anche questo è essere sindacato. Il servizio è un valore aggiunto che Andi dà al proprio associato e mi sembra sia molto apprezzato.
Non trova che la crisi che tocca tutto il comparto e la necessità di superarla con progettualità concrete possa essere uno stimolo per riproporre il Tavolo del dentale?
Certamente bisogna fare sistema, di questo ne sono convinto e mi impegnerò perché si realizzi. Ed è anche uno dei punti del programma elettorale. L’importante è che non succeda come nel passato quando il Tavolo è servito a promuovere logiche corporative o di potere, facendosi carico di questioni che nulla avevano a che fare con una politica di comparto e di sistema.
Sicuramente metterò a disposizione il prestigio di Andi per valorizzare l’intero comparto, cercando di riunire le componenti del settore disponibili a intraprendere un progetto comune. Se poi dovessimo fallire, continueremo ad andare per la nostra strada, consapevoli delle nostre forze e della credibilità che come Andi abbiamo conquistato, sia nel comparto sia verso le istituzioni.

Il nuovo esecutivo
Presidente nazionale: Gianfranco Prada.
Vicepresidente vicario: Mauro Rocchetti.
Vicepresidente: Massimo Gaggero.
Vicepresidente: Aldo Nobili.
Vicepresidente incaricato al Consiglio delle Regioni: Stefano Mirenghi.
Tesoriere: Gerardo Ghetti.
Segretario: Nicola Esposito.
Segretario sindacale: Alberto Libero.
Segretario culturale: Carlo Ghirlanda.

GdO 2010;10

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