Vi sono persone che evitano fin quando possibile l’incontro con l’odontoiatra per paura degli aghi e, dunque, dell’anestesia. In questi casi spesso la paura si accompagna a un senso di inadeguatezza per non riuscire ad affrontare ciò che per quasi tutti è un’esperienza più che sopportabile, dovuto anche al fatto che chi ne soffre spesso non sa che cosa sia in realtà il timore degli aghi: una vera e propria fobia, ovvero una condizione medica riconosciuta. Può essere l’odontoiatra allora, oltre ad avere un atteggiamento comprensivo, ad aiutare queste persone a capire il loro stato d’animo spiegando che la paura può avere una componente “appresa” da esperienze negative passate ma anche una radice genetica, che riporta nel presente un meccanismo di difesa sviluppato in milioni di anni.
Una fobia tutt’altro che rara
“La belonefobia, ossia la paura degli aghi, è una condizione medica riconosciuta dal Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV) dell’American Psychiatric Association e che, secondo le stime, colpisce circa il 10% della popolazione mondiale” afferma Chester J. Sokolowski del Dipartimento di anestesiologia della University of Pittsburgh School of Dental Medicine di Pittsburgh, negli Stati Uniti. “Spesso chi ne soffre ci convive evitando analisi e procedure mediche che comportino l’utilizzo di aghi con conseguenze negative sulla propria salute, spesso senza sapere che ciò di cui soffrono è una vera e propria fobia, molto forte e radicata, ma che può essere affrontata con l’aiuto di specialisti”.
L’ipotesi evoluzionistica
Ma perché, si sono chiesti gli studiosi, un numero relativamente alto di persone ha un’avversione così forte per una procedura non molto dolorosa? Sokolowski, che ha pubblicato un lungo articolo in proposito sul numero di ottobre della rivista Dental Clinics of North America, risponde dicendo che questa fobia sembra avere una radice genetica. “Innanzitutto è stato notato che la fobia ricorre nelle famiglie: gli studi riportano infatti che una percentuale molto alta di coloro che soffrono di belonefobia, compresa tra il 68 e l’80%, ha un consanguineo stretto con la medesima fobia, ossia un genitore, un fratello o un figlio” spiega Sokolowski; “questo ha portato a capire che fattori genetici possono avere un ruolo consistente nella forza e nel modo in cui questa fobia si presenta. L’ipotesi è di tipo evoluzionistico: si pensa che questo tratto genetico si sia sviluppato nei millenni di evoluzione umana in risposta a punture e ferite da punta, così come la paura alla vista del sangue è la risposta a ferite da taglio. Le morti violente per l’uomo erano infatti causate prevalentemente da penetrazione di denti di animali, zanne e artigli, oppure da armi come punte, frecce od oggetti taglienti. L’esperienza di questo tipo di ferite avrebbe portato alla formazione di un tratto genetico che, alla vista di aghi nel caso della belonefobia, comporta non solo una reazione di profonda e incontrollabile paura ma anche una risposta fisica che può arrivare allo svenimento”.
La risposta fisica
Il tratto genetico, precisa Sokolowski, è comunque solo una delle componenti che portano a soffrire di belonefobia: l’altra è la componente costituita da ciò che viene appreso attraverso l’esperienza. “E’ stato provato infatti che anche un’esperienza negativa legata agli aghi come per esempio un prelievo di sangue, soprattutto se vissuta durante l’infanzia, può portare a sviluppare questo tipo di fobia. Anche solo avere assistito all’esperienza vissuta in modo negativo o doloroso da una persona cara, per esempio da un fratello, può comportare lo sviluppo di una fobia con conseguenze a lungo termine”.
Quale che sia l’origine o la combinazione di fattori che portano ad avere una terribile paura degli aghi, la risposta dell’organismo quando costretto a subire una puntura è la medesima. “All’avvicinarsi dell’ago, o anche solo all’idea che possano essere punti, coloro che soffrono di belonefobia sperimentano un’improvvisa riduzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna che può comportare capogiri, vertigini, nausea e anche perdita di coscienza per tempi più o meno lunghi. Si tratta del cosiddetto riflesso vasovagale, che per gli evoluzionisti è stato ‘messo a punto’ in più di quattro milioni di anni dai geni che controllano la pressione, la frequenza cardiaca e il rilascio dell’ormone dello stress per preservare la sopravvivenza della specie; questa reazione è un sistema che deprime momentaneamente le funzioni vitali e assomiglia infatti alle reazioni di immobilità e di morte apparente che alcuni animali utilizzano per salvarsi dall’attacco dei predatori.
La paura e l’odontoiatra
L’odontoiatra, conoscendo ciò che spesso il paziente non sa, ovvero che la belonefobia è una paura profonda e scarsamente controllabile che viene “da lontano” e che non deve costituire motivo di vergogna, può essere d’aiuto. “E’ di primaria importanza innanzitutto comunicare empatia e rispetto verso il paziente fobico; successivamente è fondamentale spiegargli che non è il solo, ovvero che molte altre persone provano le stesse forti sensazioni e soffrono per la medesima fobia, e informarlo che vi sono metodi e professionisti che lo possono aiutare ad affrontare la paura. I comportamenti volti a informare e rassicurare sono, come sempre, le armi più importanti per chi si occupa della salute altrui.
Per arrivare ad affrontare la paura esistono approcci in cui il paziente ha un ruolo attivo come un’esposizione graduale in un tempo molto lungo, come avviene per esempio nei corsi per chi ha paura di salire su un aereo, oppure approcci per così dire ‘passivi’, come l’utilizzo della sedazione cosciente, dell’anestesia topica nell’area dell’iniezione o della somministrazione di farmaci come benzodiazepine.
L’odontoiatra deve infine ricordare di trattare con grande cautela i pazienti cardiopatici con belonefobia, perché una sincope vasovagale severa causata da stress emozionale può interagire con cardiopatie preesistenti e avere esiti molto gravi.”
“Needle phobia: etiology, adverse consequences, and patient management”
Dent Clin North Am 2010;54(4):731-44.
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