British Library
Spesso fingiamo di starli a sentire, indossiamo un sorriso di circostanza e ci auguriamo che finiscano in fretta. Quando siamo particolarmente di buon umore o nella giusta disposizione d'animo, capita che li si ascolti veramente, tentando di instaurare un qualche livello di comunicazione.
Non di rado ci si deve trattenere dall'alzarsi per abbandonarli al loro monologo.
Sono i pazienti che sanno già tutto. Che prima di incontrarci hanno già una diagnosi e un piano di trattamento di cui ci informano dettagliatamente. Quelli che, in maniera più o meno esplicita, ci mettono in guardia perché loro sanno che se la nostra diagnosi e il nostro piano di trattamento non coincidono con i loro, è perché non ne sappiamo abbastanza.
O abbiamo interessi diversi dalla loro salute.
Questo atteggiamento è in larga parte figlio di un effetto collaterale di quel meraviglioso strumento che è internet. Potremmo chiamarlo effetto British Library.
Provo a spiegarmi. Entrare in una delle più grandi biblioteche del mondo, dove sono conservati oltre 150 milioni di volumi, non aumenta di una virgola la nostra conoscenza, così come pescare a caso un volume dagli scaffali delle raccolte di scritti filosofici e leggerne un qualche rigo non fa di noi dei filosofi. Sembra invece che Google abbia creato una certa confusione tra concetti che necessitano, viceversa, di una demarcazione chiara: perché accesso ai dati non è conoscenza e informazione non è sapere.
In mezzo ci sono lo studio, l'esperienza, l'elaborazione. Quello che, nel nostro caso, divide il paziente (per quanto informato) dal medico.
Se poi, invece che nella British Library si è entrati (per sorte o per scelta) in un circolo di ciarlatani, allora il problema è serio. Perché paradossalmente, mi fa notare Michele Serra, "gli stessi che ogni cinque secondi tendono a precisare che a me non la danno mica a bere, sono poi i primi a farsi turlupinare dalle panzane più assurde" siano queste le scie chimiche, i danni dei vaccini o gli effetti taumaturgici dell'acqua pura.
Buona lettura.
Prof. Giovanni Lodi, Direttore Scientifico Dental Cadmos