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18 Aprile 2021

La riapertura dell’Italia legata ad un “se”, e le prospettive per il settore da definire

di Norberto Maccagno


La notizia della settimana è certamente quella “dell’Italia che riapre”, come hanno titolato molti quotidiani. In realtà, come oramai tradizione in questo anno abbondante di pandemia, il messaggio lanciato in conferenza stampa dal presidente Mario Draghi e dal Ministro della Salute Roberto Speranza è finalizzato a dare un segnale rassicurante, una prospettiva positiva ai cittadini (e probabilmente per placare brontolii politici).

Perché certo che riaprono (in parte) scuole, ristoranti, bar, palestre, cinema, teatri, ma solo se le regioni torneranno in giallo, se le condizioni del contagio rimarranno basse e se i cittadini non si faranno prendere dall’euforia mantenendo alta l’attenzione verso il rispetto delle norme anti-contagio. Quindi tutto potrà richiudere come prima o non aprire affatto. Non molto diverso da come capitava prima.  
Un annuncio che conferma ancora di più quanto, cito il Presidente Sergio Mattarella, questa pandemia abbia aggravato diseguaglianze territoriali, economiche e sociali.  

Per molti le riaperture significheranno, “solo”, la possibilità di uscire di casa, di svagarsi, di tornare a fare qualche gita nel fine settimana fuori regione.
Per altri, invece, significa finalmente tornare a lavorare, a guadagnare, uscire da una situazione drammatica. Inutile fare l’elenco delle attività che in questo anno abbondante sono state costrette all’inattività o alla parziale attività, mentre altre hanno continuato a lavorare e produrre. L’odontoiatria può essere inserita tra le categorie di mezzo, quelle che hanno sentito la crisi economica ma meno di altre, almeno stando ai dati diffusi dal Centro Studi ANDI. Un 25% circa di calo medio degli incassi, considerando che per oltre due mesi gli studi sono stati di fatto chiusi e poi hanno ripreso a lavorare rispettando procedure che riducono il numero di pazienti visitati in un giorno, può essere visto come un dato positivo. Pur rimanendo un calo importante, possiamo ad un anno di distanza imputarlo esclusivamente alla conseguenza dei mesi in cui gli studi hanno deciso di assistere solo le urgenze per limitare la diffusione del virus, in assenza di protocolli definiti e sicuri. Dopo i pazienti sembrano essere tornati e le sensazioni, oggi, sono moderatamente positive anche per i mesi che verranno.  

Situazione economica che ha quindi toccato in modo differente i vari strati sociali ed economici del paese.  

Per quanto riguarda l’accesso o meno alle cure a solvenza diretta, dove da sempre la variabile è la possibilità di spesa dei cittadini, si è aggiunta quella della paura del contagio.  

Ma anche in questo caso sembra abbia inciso in modo differente.  

Se i dati economici del settore odontoiatrico indicano una ripresa dopo lo stop della primavera scorsa –ricordo non per rinuncia dei pazienti ma per la chiusura degli studi-, i dati che guardano l’accesso alle cure più in generale offrono scenari differenti.

Nei giorni scorsi la Fondazione Italia in Salute ha indicato come il 63,9% della popolazione preferisce evitare di frequentare ospedali e ambienti della sanità per paura di essere contagiato. Solo il 13,8% non ha timore a entrare in strutture mediche. Diffidenza dell’ambiente sanitario che non sembra aver toccato il paziente dello studio odontoiatrico, merito certo dei protocolli adottati, e rispettati, ma probabilmente perché da sempre i pazienti vedono lo studio odontoiatrico come ambiente protetto e sicuro.  

Impossibile prevedere se i pazienti continueranno a frequentare gli studi o saranno costretti ad andarci solo per le cure indifferibili perché schiacciati dalla crisi, abbiamo imparato che i fattori sono talmente variabili interessando in modo diverso anche gli stessi strati sociali della popolazione.  

Però un modello post pandemia nel settore odontoiatrico si dovrà cominciare ad ipotizzarlo.  

Anche perché indubbiamente la sanità pubblica potrà essere rivista, a cominciare dagli investimenti che verranno fatti. Prima del Covid la sanità era l’area dove si tagliava solamente.  

Nei giorni scorsi è stato approvato il DEF 2021 nel quale sono stati stanziati 20 miliardi da dedicare alla sanità, che si aggiungono agli oltre 20 miliardi già stanziati per gli anni 2020-2024. Soldi che, stando alle dichiarazioni del Ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, serviranno certo per uscire dalla crisi sanitaria dovuta al Covid ma anche a dare impulso alla ricerca medica e al rafforzamento del Sistema Sanitario Nazionale.  

Questi finanziamenti permetteranno di portare più pazienti negli studi odontoiatrici italiani?  

Oggettivamente non credo, probabilmente basteranno a malapena per il SSN, ma indubbiamente a seconda di come verrà riorganizzata l’assistenza pubblica, in funzione soprattutto dell’assistenza territoriale, potrà certamente condizionare il settore.

Si pensi ai possibili scenari a seconda di come si decida di coinvolgere i Fondi integrativi, le assicurazioni, la sanità privata accreditata, persino le farmacie.  

Scenari, positivi o negativi, condizionati dalla capacità del settore ad essere ascoltato e convincente, di formulare propose realizzabili e funzionali al sistema e non solo alla professione, di riuscire a fare capire il valore del ruolo dell’ambulatorio del singolo medico libero professionista.  

Lo sbaglio da non continuare a fare sarà quello di guardare il problema e le soluzioni, dal solo punto di vista dell’offerta della cura.
La sfida del futuro, soprattutto per il settore odontoiatrico (è stato detto più volte e lo era anche prima del Covid), sarà quella del guardare non agli interessi della professione ma del paziente, avendo ben presente che solo un modello di cure accessibili a più persone possibile, potrà portare i pazienti in studio e quindi fare gli interessi dei professionisti.  

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