La scorsa settimana, la Camera ha approvato la proposta di legge sull’equo compenso modificando quanto già previsto con la legge del 2017 (nata solo per gli avvocati) successivamente modificata nel 2018 dalla legge di Bilancio estendendo quanto previsto per la professione forense a tutti i professionisti. Il testo passa ora al Senato e si vorrebbero apportare modifiche perché, Confprofessioni tra tutte, ha definito il provvedimento legislativo, “un’occasione mancata”.
Non pochi i principi da conservare enunciati nei vari articoli, alcuni riferiti ai precedenti, a cominciare dal definire l’equo il compenso quello “proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale”.
Altro aspetto fondamentale, mutato dai precedenti provvedimenti, il prevedere un tariffario minimo, in realtà ci si gira intorno al termine, quello utilizzato è “parametro”, ma poco cambia. Parametri di riferimento che vengono definiti tramite decreti ministeriali, sentendo gli Ordini, ed aggiornati ogni due anni su proposta degli Ordini e Collegi professionali. Per alcune professioni (su tutte gli avvocati) questi sono già stati definiti da tempo. Per le prestazioni di medici e degli odontoiatri no,nonostante i ministeri competenti li abbiano più volte richiesti alla FNOMCeO. C’è un iter in corso, ma anche di questo se ne sono perse le tracce.Esistono però alcuni tariffari indicativi elaborati da alcuni Ordini provinciali come quello di Roma.
Sempre in tema di compenso equo, la norma consente all’Ordine di esprime pare di congruità.Ordini anche legittimati a “adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso”. Ma anche nei confronti dell’iscritto che viola “l’obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinato in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti”. Di fatto si pone finalmente l’obbligo di definire il rapporto di collaborazione attraverso un contratto.
Norma che tutela, anche, “i diritti individuali omogenei dei professionisti attraverso l'azione di classe, proposta dalle rappresentanze professionale”, class action che può essere attivata anche dall’Ordine.
Infine, ma ovviamente è il succo della norma: tutelare il professionista che percepisce un compenso inferiore ai parametri indicati dalla legge, “nonché di ulteriori specifiche clausole indicative di uno squilibrio nei rapporti tra professionista e impresa, rimettendo al giudice il compito di rideterminare il compenso iniquo ed eventualmente di condannare l'impresa al pagamento di un indennizzo in favore del professionista”, spiega la scheda informativa del provvedimento licenziato dalla Camera.
Sono invece le norme che ne delimitano l’ambito di applicazione che rendono il provvedimento legislativo se non una occasione persa, certamente poco applicabile non solo ai professionisti regolamentari da un Ordine professionale del settore dentale (odontoiatri ed igienisti dentali), ma da tutti i professionisti regolamentati e non.
Perché la norma non si applica a tutti i rapporti tra professionista e committente ma solo a quelli stipulati attraverso convenzioni con “imprese bancarie, imprese assicurative, imprese che non rientrano nella categoria delle microimprese o delle piccole o medie imprese ovvero quelle che impiegano più di 50 dipendenti o fatturano più di 10 milioni di euro”. La norma poi non si applica alle convenzioni in corso.
Quindi la legge sull’equo compenso, se il Sentato approverà senza modificare quanto definito dalla Camera, potrebbe interessare le convenzioni tra studi dentistici e fondi sanitari, cosa certamente positiva ma non certa, ma difficilmente odontoiatri e igienisti dentali collaboratori non solo degli studi dei singoli professionisti ma neppure nelle grandi Catene. Siccome ogni studio della Catena è una singola Srl, non rientra tra le tipologie di imprese che devono sottostare alla norma.
Non potrà neppure interessare quanto molti dentisti sperano ogni volta che sentono parare di equo compenso, ovvero vedere ripristinare il tariffario minimo e soprattutto poter denunciare il collega che non lo rispetta.Inoltre, già nel testo del 2017 veniva chiarito che la norma sull’equo compenso non interessava i rapporti tra cittadino e professionista, ma in questo caso l’anello debole non è il professionista.Peraltro, nella norma del 2018 c’era anche una clausola che rendeva molto vaga la reale portata del provvedimento (non sono riuscito a capire se superata dal testo approvato ora dalla Camera), ovvero che i parametri dei compensi stabiliti dal Ministero potevano essere “sforati” per il 30%.
Infine, parlando di equo compenso non si può non ricordare il perché si è sentita la necessità di legiferare in merito.
Perché dopo l’abolizione delle tariffe minime i committenti con in mano il potere contrattuale(prevalentemente banche ed assicurazioni) che fino ad allora dovevano rispettare il tariffario minimo, si sono visti liberi di “contrattare” il compenso con i consulenti (avvocati, geometri, ingegneri, architetti) e grazie alla pletora di legali e tecnici disposti a svendere la propria professionalità pur di lavorare, imporre il compenso.
Ecco, ma se si è capito lo sbaglio fatto con l’abolizione del tariffario minino, non sarebbe meglio, invece di nascondersi dietro la parola “parametro”, ammettere l’errore e ripristinare i tariffari minimi per ogni professione, a prescindere dal committente del lavoro?
Il passaggio al Sentato è quindi l’occasione per la Politica per dare tutele ai liberi professionisti, oggi sempre più sinonimo di precariato, e per le rappresentanze sindacali (non faccio distinzioni tra professioni) finalmente chiarire chi si vuole tutelare: tutti gli iscritti oppure solo i titolari di studio.
Non serve stravolgere la norma, bastano solo piccole ma sostanziali modifiche, ovviamente volendo proporle.
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