Una paziente denuncia il proprio dentista per aver ingoiato un cacciavitino per impianti. Quali sono i reali rischi legali e come si poteva prevenire il fatto?
Il rischio di ingoiare uno strumento scivolato dalle dita del dentista mentre sta svolgendo una operazione è un fatto certamente raro ma non improbabile. È capitato ad una barista vicentina di 49 anni che ha ingoiato lo strumento che il suo dentista, denunciato, stava utilizzando per avvitare un impianto. In questi giorni è iniziato il processo che vede imputato il dentista citato in giudizio per lesioni lievi e la disavventura ha fatto il giro dei quotidiani locali e nazionali e ha trovato spazio anche in televisione.
Questa la sintesi della vicenda riportata dalla stampa.
Tutto comincia nel febbraio 2017 quando la signora vede una offerta su Groupon e decide di farsi inserire un impianto dentale dopo aver fatto una visita, panoramica ed una seduta di igiene dentale. Durante le procedure di fissaggio dell’impianto al dottore “scappa dalle dita” il cacciavitino che viene ingoiato dalla paziente. Il dentista, così racconta la paziente, la rassicura con un non si preoccupi, “come entra, così esce” e la invita ad aspettare qualche giorno. “Sono rimasta frastornata e solo dopo ho realizzato di avere un cacciavite in pancia: ho perso ilsonno dall’ansia”, racconta alla stampa la signora che, dice, pochi giorni dopo si sente male e si reca al pronto soccorso dove le fanno una radiografia all’addome per individuare l’oggetto, gli vengono prescritti dei lassativi che dopo quattro giorni fanno il loro effetto consentendo di espellere il cacciavitino.Tutto bene? Non sembra perché la paziente in quei 4 giorni, dice, “ero allo stremo delle forze, debilitata, tant’è che sono ritornata in ospedale per una pleurite che il medico legale ritiene legata all'irritazione provocata dal cacciavitino”.
Quindi la decisione di rivolgersi ad un avvocato per denunciare il dentista anche perché, si lamenta con la stampa la signora, "l’odontoiatra non si è mai fatto vivo e non si neppure presentato a una delle quattro udienze in tribunale” e poi conclude: “volevo anche mollare, però poi penso all’indifferenza del medico e mi viene la forza per andare avanti affinché altri non debbano vivere quello che ho passato io”. Le udienze in tribunale procedono con lentezza, come per tutte le cause civili, la prossima è fissata a settembre.
Ma cosa rischia il dentista e quali sono le “attenzioni” che si devono prestare per evitare situazioni di questo genere?
“Quando si agisce nell’ambito delle ricostruzioni protesiche su impianti – ci dice il prof. Massimo Gagliani, Università degli Studi di Milano, Coordinatore Scientifico per l’area odontoiatria del gruppo EDRA - si devono adottare tutte le attenzioni del caso. Nello specifico, i micro-cacciaviti utilizzati, idonei ad avvitare corone, monconi o tappi di guarigione agli impianti, hanno nella testa dello stesso un piccolo foto dove si può fare passare, e legare, un filo interdentale utile a recuperarlo nel caso ci sfuggisse”.
Un altro consiglio è quello di utilizzare pinze tipo “pean” o “cocker” che hanno sulla punta un invito per ospitare il gambo del cacciavite. Terzo consiglio del prof. Gagliani è quello di “usare dei mandrini da montare sul micromotore in modo da avvitare la vite con l’ausilio del micromotore stesso (alcuni hanno anche micromotori con torque dedicati)”.
Ed in caso di denuncia cosa rischia il dentista e cosa può essere chiamato a dimostrare?
Ad aiutarci a rispondere sono gli esperti della SIOF (Società Italiana di Odontoiatria Forense), la presidente Gabriella Ceretti ed il presidente emerito Claudio Buccelli che ovviamente non entrano nella vicenda giudiziaria del fatto di cronaca ancora in corso.
“A seguito della denuncia si dovrà verificare se realmente c’è stato un danno, anche solo morale, e valutare le responsabilità cercando di ricostruire la procedura utilizzata e se sono state attivate tutte le procedure per evitare il rischio (aspirazione con assistenza dell'ASO, posizione non troppo inclinata della testa del paziente ecc)”, ci dicono aggiungendo che certamente si valuteranno le eventuali indicazioni date dalle linee guida e si sentirà il paziente ma anche l’odontoiatra e l’ASO per capire come si sono svolti i fatti.
“Spetta al paziente dimostrare il nesso di causalità”, ricordano da SIOF.
Dal punto di vista del risarcimento è ovviamente molto difficile ipotizzare ed indicare ipotesi generali, si deve valutare il singolo caso, spiegano gli esperti.“Sotto il profilo medicolegale –ricordano- il concetto di fondo è che se non c’è processo patologico temporaneo e/o permanente, non c’è nemmeno danno biologico risarcibile. L’ingestione di strumentario che poi è stato eliminato con la normale evacuazione è un processo fisiologico, non patologico, pertanto è difficile riscontrare un danno né biologico temporaneo né biologico permanente”.Ci sono però i possibili “danni psicologici” anche solo dovuti alla preoccupazione.
“Starà ai legali del paziente determinare e dimostrare il danno ed ai CTU dare la propria versione e poi al giudice decidere anche se è sempre molto difficile, in assenza di danno da patologia temporanea o permanente, dimostrare ed ottenere un risarcimento per danno morale”.
Ultima considerazione presidenti Ceretti e Bucelli è quella sulla comunicazione. “Mai negare o sminuire il fatto, si deve spiegare, dare rassicurazioni e farci sentire vicini, molti dei contenziosi odontoiatrici nascono per una cattiva comunicazione più che per una cattiva odontoiatria”.
Sempre più pazienti portano in causa il proprio dentista, anche penalmente. Le cause non sempre sono causate dalla qualità della prestazione. Ne abbiamo parlato con la prof.ssa Pinchi
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