La stabilità primaria di un impianto dentale, ovvero l’assenza di micromovimenti superiori a 150 µm successivamente all’inserimento, ha un ruolo fondamentale per determinarne l’osteointegrazione, ed è quindi uno dei fattori chiave per il successo implantare.
La stabilizzazione meccanica dell’impianto durante l’inserimento, infatti, permette il rimodellamento osseo attorno all’impianto stesso che garantirà la stabilità secondaria.
I fattori che influenzano la stabilità primaria sono legati sia alla tipologia di impianto che alla tipologia di osso nel quale l’impianto è inserito. Tra questi ultimi, la densità ossea rappresenta sicuramente un parametro cruciale nel determinare la stabilità primaria dell’impianto e quindi la sua misura è fondamentale per l’appropriata pianificazione del miglior protocollo di inserimento implantare e per l’identificazione dell’impianto più adatto.
Altrettanto importante è la misura della stabilità primaria durante l’inserimento implantare: tale misura, infatti, aiuta il chirurgo a scegliere il protocollo di carico più appropriato (immediato, precoce o ritardato).
La stabilità primaria nel setting clinico è stimata principalmente in due modi: la misura del peak insertion torque (IT), ovvero la forza massima utilizzata dal micromotore implantare per posizionare l’impianto, oppure tramite l’analisi della frequenza di risonanza (resonance frequence analysis, RFA) effettuata dallo strumento Osstell. Altre misure di stabilità primaria sono fornite dal removal torque (RT), ovvero la forza necessaria per la rimozione dell’impianto, e dalla valutazione istologica dell’area di contatto tra osso e impianto (bone-implant contact, BIC). Queste ultime due misure tuttavia, per la loro stessa natura, non sono applicabili in ambito clinico.
Oltre a IT e RFA, è stato proposto di misurare la stabilità primaria attraverso il calcolo dell’integrale della curva torque-tempo, che riassume l’insieme delle interazioni dinamiche tra osso e impianto durante l’inserimento e rappresenta quindi una stima dell’energia richiesta per il posizionamento dell’impianto nel sito (energia di inserimento, IE).
A questo proposito, è stato recentemente introdotto un micromotore implantare (TMM2/3, IDI Evolution) che, durante l’inserimento implantare, mostra la curva torque-profondità e ne calcola l’integrale: se le spire dell’impianto sono equidistanti tra loro, l’integrale (I) è proporzionale all’energia di inserimento e può quindi fornire una stima della stabilità primaria dell’impianto. Per validare l’integrale come misura affidabile della stabilità primaria, è stato intrapreso un percorso di ricerca che ha visto lo svolgimento di test approfonditi in diversi modelli sperimentali dell’osso spongioso umano e l’analisi retrospettiva di alcuni inserimenti implantari nel setting clinico.
Il primo step è stato quello di inserire degli impianti in blocchetti di poliuretano con varie densità (note) e studiare la relazione tra integrale, densità dei blocchetti e gli altri parametri di stabilità primaria quali IT, RT, e ISQ (Di Stefano et al., 2017).
I risultati di questo primo esperimento non solo hanno dimostrato che l’integrale I correla con IT, RT e ISQ, e quindi può anch’esso fornire una stima della stabilità primaria, ma anche che l’integrale è più sensibile degli altri tre parametri alle variazioni di densità. Inoltre, le misure di stabilità primaria effettuate tramite l’integrale si sono dimostrate essere indipendenti dall’operatore che le effettuava, confermando la ripetibilità di questo tipo di misura.
Lo stesso esperimento è stato ripetuto in blocchetti di osso equino spongioso deantigenato, un modello sperimentale più vicino all’osso umano (Orlando et al., 2019). Anche in questo modello, l’integrale ha mostrato correlazione lineare con IT, RT e ISQ e una maggiore sensibilità alle variazioni di densità ossea rispetto a questi parametri, confermandosi quindi un parametro affidabile e potenzialmente migliore di altri per misurare la stabilità primaria.
Un ulteriore test per validare l’integrale come parametro di stabilità primaria è stato effettuato in un altro modello sperimentale, le costole bovine (Iezzi et al., 2015). In questo caso infatti si è andati a studiare la correlazione tra l’integrale misurato durante l’inserimento degli impianti nelle costole bovine e la BIC, l’area di contatto tra osso e impianto valutata istologicamente a posteriori. Un elevato valore di BIC infatti è notoriamente associato a impianti con stabilità primaria ottimale. Lo studio ha rivelato una significativa correlazione lineare tra integrale e BIC, dimostrando quindi che l’integrale può stimare in maniera affidabile quanto il tessuto osseo è effettivamente in contatto con l’impianto dopo il posizionamento.
La correlazione tra BIC, densità ossea e integrale è stata studiata anche nel setting clinico tramite un’analisi retrospettiva effettuata su 25 pazienti. In tale analisi, l’integrale è stato misurato con il micromotore implantare TMM2/3 durante l’inserimento di un mini-impianto, poi rimosso insieme allo strato di osso circostante, in una fase intermedia della preparazione del sito, mentre la BIC è stata valutata tramite l’analisi istologica dell’osso circostante il mini-impianto. Questo studio clinico retrospettivo ha permesso di stabilire che l’integrale correla linearmente con la BIC anche nell’osso umano, validando così definitivamente l’integrale come misura affidabile di stabilità primaria (Capparè et al., 2015).
Come discusso precedentemente, l’integrale è una misura dell’energia di inserimento necessaria per superare la resistenza dell’osso, energia che viene dissipata sia sotto forma di calore generato dall’attrito, sia sotto forma di deformazione elastica e anelastica dell’osso. La misura della deformazione subita dall’osso può essere utile a misurare lo stress meccanico a cui viene sottoposto durante l’inserimento implantare. Tale informazione è particolarmente importante nell’osso di tipologia D1 (corticale), il quale essendo estremamente compatto è più soggetto a stress più significativi che potrebbero portare alla sua frattura, aumentare la probabilità di maggiore riassorbimento osseo marginale mettendo, infine, a repentaglio il successo chirurgico e clinico dell’intervento.
A tal fine, è stato effettuato un test in blocchetti di resina fotoelastica con densità corrispondente all’osso D1. Le proprietà chimico-fisiche di questa resina consentono di osservare tramite luce polarizzata le linee di deformazione attorno al sito implantare e di quantificare quindi lo stress meccanico. I risultati del test mostrano come l’integrale misurato durante l’inserimento degli impianti nella resina fotoelastica D1, al contrario del torque massimo (IT), sia correlato linearmente con lo stress meccanico misurato tramite l’analisi fotoelastica e quindi possa anche fornire una stima affidabile dello stress meccanico subito dall’osso D1. Inoltre, si è visto come tale stress meccanico che si genera nell’osso D1 potrebbe essere minimizzato tramite la creazione di un’osteotomia leggermente più lunga della lunghezza implantare e rimuovendo i detriti ossei che si accumulano durante l’inserimento dell’impianto (Andreasi Bassi et al., 2018). I risultati di quest’ultimo studio sono particolarmente rilevanti in quanto dimostrano che l’integrale potrebbe essere utilizzato nel setting clinico per valutare lo stress meccanico a cui è sottoposto l’osso corticale, e correlarlo poi al riassorbimento osseo perimplantare che si osserva dopo l’inserimento dell’impianto.
Implicazioni cliniche
Visti questi risultati, è chiaro come l’integrale torque/profondità misurato tramite il micromotore rappresenti un parametro dinamico di stabilità primaria dell’impianto più informativo rispetto a parametri statici quali IT e ISQ. Infatti, l’integrale è più sensibile a variazioni della densità ossea rispetto ad altri parametri e permette di stimare lo stress meccanico subito dall’osso D1, dando così all’implantologo la possibilità di pianificare il protocollo di carico e il tipo di protesi sulla base di un parametro di stabilità primaria affidabile e validato da un percorso di ricerca rigoroso, senza correre il rischio – per esempio – in procedure di carico immediato in mandibole atrofiche di pazienti anziani di compromettere l’integrità immediata e nel tempo della struttura ossea.
Fig. 1 Il micromotore implantare TMM3 (IDI Evolution). Il TMM3 rappresenta un’evoluzione del micromotore TMM2 utilizzato per gli esperimenti descritti in questo articolo, conservando però gli stessi algoritmi che costituiscono il cuore del sistema di misurazione della stabilità primaria
Fig. 2 Misura dell’integrale torque/profondità durante l’inserimento di impianti in blocchi di poliuretano a densità nota
Fig. 3 Curva torque/profondità così come mostrata dal micromotore TMM2/3: l’area totale sotto la curva costituisce l’integrale (I). Le altre misure sono torque o coppia media (Cm), la coppia di picco (Cp), nota anche come torque di picco o insertion torque (IT), mentre la profondità raggiunta durante l’inserimento dell’impianto è riportata in decimi di millimetro (d)
Fig. 4 Inserimento implantare nei blocchetti di osso equino deantigenato per la misura dell’integrale torque/profondità
Fig. 5 Analisi fotoelastica della deformazione meccanica indotta dall’inserimento dell’impianto in blocchi di resina fotoelastica con densità D1
Figg. 6a, b Inserimento implantare in costole bovine (a) e istologia del complesso osso-impianto per la misura della superficie di contatto (BIC) (b)
Fig. 7 La carota ossea contenente il mini-impianto e lo strato osseo spesso 0,5 mm che lo circonda. In campioni come questo, prelevati nell’ambito dello studio clinico retrospettivo e analizzati istomorfometricamente, è stata calcolata l’area di contatto osso-impianto per studiarne la relazione con la stabilità primaria misurata tramite l’integrale torque/profondità
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