Per alcune materie prime i rincari superano il 300%. Le preoccupazioni dell’industria dentale italiana: difficile riuscire ad assorbire i rincari senza aumentare i prezzi
Pandemia, guerra, crisi energetica, approvvigionamento delle materie prime e rincari sono i principali fattori che stanno penalizzando anche l’industria dentale e che potranno comportare un aumento dei prezzi di vendita.
È quanto emerge a margine dell’Assemblea UNIDI e della presentazione dell’annuale analisi di settore che l’Unione Nazionale delle Industrie Dentarie Italiane ha presentato per la 16° volta grazie ai dati di Key-Stone.
“Materie prime che rincarano a doppia cifra senza preavviso ad ogni ordine, cosa che comporta per un settore che prevalentemente produce su ordinazione, di vedersi impennare i costi di produzione dopo aver fissato il prezzo al cliente”, dice il neo presidente UNIDI Fabrizio Velotti.
Rincari che per alcuni componenti hanno superato il 300%, come capita per quelli necessari per produrre alcune tipologie di materiali da impronta, fa notare Gianfranco Berrutti, past president UNIDI e referente della Major Prodotti Dentali spa.
Industria del settore dentale alle prese con problemi che stanno toccando tutto il comparto della produzione dei dispositivi medici, stando a quanto denunciato nei giorni scorsi dal Centro Studi di Confindustria Dispositivi Medici rilevando che il 66% delle aziende ha avuto problematiche di operatività causa costi e difficoltà di approvvigionamento di alcuni materiali mentre il rincaro delle materie prime rispetto all’anno precedente è in media del 50%. Industria di dispositivi medici che, a differenza di altri comparti industriali, non può decidere di fermare la produzione perché causerebbe rischi per la salute dei cittadini.
Rincari e problematiche di approvvigionamento che toccano in modo differente i vari Paesi con evidenti problemi per chi, come l’industria dentale italiana, ha nell’export il suo sbocco principale.
“Ci troviamo a competere con Paesi in cui l’approvvigionamento delle materie prime ma soprattutto i rincari sono meno importati di quelli che subiamo noi italiani, con il rischio che i nostri prodotti siano meno competitivi sul fronte prezzo”, fanno notare alcune aziende. “Fortunatamente il Made in Italy è un valore aggiungono ma oltre certe variazioni di prezzo non è più attraente”, aggiungono facendo notare che se nel 2021 la quasi totalità delle aziende ha assorbito internamente l’incremento dei costi di produzione, non aumentando i prezzi o contenendo l’aumento, nel 2022 sarà difficile non ritoccare i listini”.
Aumenti che ricadranno sugli utilizzatori, ovvero studi odontoiatrici e laboratori odontotecnici e poi sui pazienti, se gli studi decideranno di ritoccare le tariffe.
“Come indicato nel grafico proveniente dalla ricerca Key-Stone sul cosiddetto sell-out –ha fatto notare durante la sua relaizone Roberto Rosso- se fino al 2019 i prezzi medi dei prodotti tendevano a scendere, a partire dal 2020 si sono verificati aumenti alla fonte che per alcuni prodotti, come i DPI sono stati fino a 10 volte tanto. Complessivamente oggi, rispetto al marzo 2020, i prezzi medi per i dentisti sono aumentati di oltre il 9%. Particolarmente critica la situazione del primo trimestre 2022, nel quale i prezzi sono aumentati intorno al 2% e non si tratta più di una problematica legata solo al monouso e igiene, è in particolare il mondo chimico e delle produzioni di strumenti (ferri e frese) che stanno subendo aumenti importanti alla fonte delle materie prime o per ragioni legate ai rincari energetici, che impattano su processi produttivi e trasporti.
Aumenti dei costi di materiali che probabilmente condizioneranno dentisti e laboratori ad aumentare le tariffe considerando che, come rilevato da una ricerca condotta da Odontoiatria33 ma anche il Centro Studi ANDI ha rilevato dati simili, il 71% (63,8% secondo la ricerca ANDI) dei dentisti italiani non aumenta le tariffe da almeno 3 anni.
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