Il restauro adesivo in resina composita è un intervento di "routine" nella pratica clinica di ogni odontoiatra ma, a differenza di quanto si possa credere, si tratta di una procedura molto " sensibile" nelle procedure operative e che richiede molta attenzione nell'esecuzione e il rispetto rigoroso dei passaggi e delle indicazioni fornite dai produttori dei materiali dedicati ( sistemi adesivi smalto dentinali e resine composite ). Il restauro adesivo in resina composita- anche se correttamente condotto- è esposto a un rischio di sviluppo di carie secondaria nell'interfaccia cavità - restauro - o zone adiacenti all'interfaccia - abbastanza rilevante. Esistono in commercio materiali per il restauro in resina composita che sono in grado di contrastare lo sviluppo di carie secondaria o comunque ridurre il rischio d'insorgenza ed altresì procedure cliniche da mettere in pratica al fine d'aumentare la longevità del restauro adesivo.
Abbiamo parlato dell'argomento con il Dott. Stefano Daniele ( nella foto ) esperto e consulente per l'odontoiatria restaurativa Università degli Studi di Milano; polo Santi Paolo e Carlo.
Dott. Daniele, quali sono i principali rischi ai quali è sottoposto il restauro in resina composita all'interno del cavo orale del paziente?
Rispetto al restauro in amalgama d'argento quello in resina composta ha un maggior rischio di sviluppo di carie secondaria a livello dell'interfaccia cavità / restauro. Nonostante non ci sia ancora accordo in letteratura scientifica se lo sviluppo della carie secondaria abbia realmente origine dall'interfaccia piuttosto che da aree adiacenti - ed in questo caso sarebbe un nuovo evento - i dati dell'evidenza scientifica riportano che l'incidenza di fallimento per carie secondaria di un restauro in composito rispetto ad uno in amalgama d'argento è da due a quattro volte superiore e tale variabilità è in relazione con il numero di campioni analizzati nei diversi studi ed il periodo di follow-up. ( Nedeljkovic et al. Dental Materials 2015 ) . L'eziopatogenesi di questo processo è legato all'accumulo di placca batterica, organizzata in biofilm, proprio in corrispondenza dell'interfaccia adesiva e la zona topografica più a rischio - dove si riscontra la maggior incidenza di comparsa - corrisponde all'area del gradino cervicale delle cavità di classe II, in particolar modo quando il tessuto dentale d'interfaccia è rappresentato dalla dentina.
Lo sviluppo di carie secondaria nel restauro adesivo in resina composita è principalmente legato ai materiali impiegati oppure al cattivo controllo locale di placca?
Entrambi i fattori, seppure con tempi e modalità diverse, intervengono nello sviluppo di carie secondaria. "Conditio sine qua non" è di certo l'accumulo locale di placca batterica con conseguente produzione di metaboliti acidi in grado di demineralizzare i tessuti duri del dente che costituiscono l'interfaccia cavità- resina composita. Questo evento - come già accennato - è più dannoso se il tessuto in questione è rappresentato dalla dentina, in considerazione del fatto che è un tessuto più facile da demineralizzare e nel momento in cui subisce questo processo si attivano una serie di processi degradativi a cascata atti a danneggiare anche la componente organica ( collagene ) della dentina stessa. ( attivazione delle metalloproteinasi della matrice dentinale MMPs ). L'azione demineralizzante degli acidi organici della placca verso i cristalli d'idrossiapatite della dentina e la conseguente attivazione delle MMPs dentinali sono eventi responsabili di una rapida disgregazione del tessuto sia nella sua porzione inorganica sia in quella organica rappresentata appunto dal collagene dentinale. Anche lo strato adesivo e la resina composita hanno un ruolo nello sviluppo di carie secondaria, nel senso che si mostrano più inclini a farsi ricoprire dal biofilm batterico della placca rispetto ai tessuti dentali, lo smalto in particolare. Ancora, i costituenti resinosi degli adesivi e dei compositi sono suscettibili a degradazione idrolitica per mezzo di enzimi presenti nella saliva ( esterasi ) e, di nuovo, per mezzo dei metaboliti della placca batterica ivi accumulata ( Streptococcus mutans ) che appaiono in grado di degradare in misura considerevole la matrice metacrilica costituente i materiali del restauro adesivo ( interfaccia adesiva e resine composite ) Di recente scoperta inoltre che alcuni monomeri resinosi ( TEGDMA ) presenti in misura importante in alcuni compositi ( flowable ) sarebbero in grado di facilitare l'adesione e la proliferazione dei batteri orali nella formazione del biofilm, con tutti gli eventi dannosi collegati e prima citati. La degradazione superficiale della resina composita- oltre che essere un evento sfavorevole - produce un'aumento della rugosità del composito, che rappresenta il principale fattore di superficie favorente la formazione del biofilm batterico della placca entrando di fatto in un " circolo vizioso" costituito da accumulo del biofilm batterico , degradazione dello strato superficiale, aumento di rugosità di superficie che facilità la permanenza in situ del biofilm stesso e che porta inevitabilmente alla degradazione del materiale composito ed aumenta il rischio di comparsa di carie secondaria.
Esistono dei materiali per eseguire il restauro adesivo che appaiono più resistenti ai processi degradativi prima citati e che possono opporsi allo sviluppo di carie secondaria ?
Certamente si. E' importante porre enfasi sul fatto che la ricerca e il mercato mette a disposizione dei materiali per il restauro adesivo che non appaiono "passivi" all'interno del cavo orale del paziente ma che hanno capacità di compiere un "lavoro" che si traduce in un minor rischio di sviluppo di carie secondaria. Si tratta sostanzialmente di materiali che si oppongono alla colonizzazione delle loro superfici da parte del biofilm batterico della placca e presentano spiccate proprietà antibatteriche. Capostipite di questi materiali "attivi" è un sistema adesivo smalto-dentinale che prevede nella sua formulazione la presenza di un monomero resinoso chiamato MDPB ( 12-methacryloyloxydodecylpyridinium ) che presenta spiccata attività antibatterica quando è in forma libera ( per attività di ammonio quaternario ) e in grado di opporsi - o comunque limitare - la formazione del biofilm batterico sulla sua superficie nel momento in cui si organizza, attraverso la foto polimerizzazione, a formare insieme ad altri monomeri resinosi a formare lo strato adesivo del restauro in composito. L'adesivo a base di MDPB è anche in grado di liberare fluoro dalla soluzione "bonding" ( si tratta di un adesivo self-etching primer a due passaggi ) con conseguente potere di favorire la formazione di fluoroapatite nei tessuti dentali ( maggiormente acido-resistente ) , aumentare la capacità di mineralizzazione dei tessuti dentali danneggiati ed un'ulteriore attività in opposizione alla formazione del biofilm batterico in relazione alla sua concentrazione e tempo di permanenza sulla superficie ( Chau et al. J. Dent. 2014 ). Ritroviamo in commercio anche delle resine composite da restauro in grado di liberare fluoro ( compositi giomer) e che rappresentano un valido ausilio nel cercare di prevenire lo sviluppo di carie secondaria anche se richiedono ancora dati clinici di efficacia in merito alla loro resistenza al consumo di superficie ( wear ) durante l'attività della masticazione. Un altro materiale impiegabile per ridurre il rischio di carie secondaria nell'interfaccia si chiama Activia ed appartiene alla classe dei materiali bio-attivi in quanto presenta spiccata capacità di liberare Fluoro ( con tutti i vantaggi attribuibili al fluoro come prima visto ) come i cementi vetro-ionomerici GIC ma senza gli inconvenienti di quest'ultimi, principalmente la loro solubilità ai fluidi orali nel tempo. Activia inoltre è in grado di liberare ioni Calcio e Fosfato verso i tessuti dentali con proprietà di favorire la mineralizzazione dei tessuti a contatto.
Esistono procedure cliniche che l'operatore può mettere in opera per ridurre il rischio di sviluppo di carie secondaria nel restauro adesivo in composito?
Anche in questo caso la risposta è si. In primo luogo i materiali per il restauro adesivo ( sistemi adesivi e resine composite ) debbono essere manipolati nella maniera corretta e mi riferisco principalmente ad un'adeguata polimerizzazione dei costituenti resinosi. Occorre essere scrupolosi nell'irradiare con la lampada i materiali in questione per un giusto tempo e un'adeguata potenza luminosa ( densità di energia di polimerizzazione ). Un sistema adesivo o resina composita non adeguatamente polimerizzato tende a subire una più facile degradazione per assorbimento di acqua e si mostra più incline all'accumulo del biofilm batterico sulla superficie - per eluizione verso l'esterno di monomeri non polimerizzati - con una conseguente più rapida degradazione secondo i meccanismi prima citati. ( Brambilla et al. Dental Material 2009 ). Tra i fattori di superficie che maggiormente influenzano la formazione del biofilm batterico della placca, ritroviamo la rugosità di superficie. Le resine composite devono essere adeguatamente levigate ove è possibile accedere con strumenti abrasivi e lucidanti, oppure nelle zone difficilmente raggiungibili (ad esempio il gradino cervicale di cavità di classe II, o zone inter prossimali di cavità di classe III e IV ) considerare che la superficie di resina composita derivante dal contatto con una matrice ( metallica o di acetato ) è la più liscia che si possa ottenere e quindi non deve essere sottoposta ad alcuna azione abrasiva ( esempio strisce abrasive inter prossimali ) ma semplicemente avere cura - mediante iniezione nell'area inter prossimale di un gel idrofilo di glicerina e nuovo ciclo di foto polimerizzazione - di polimerizzare lo strato resinoso più superficiale che appare inibito dal contatto con l'ossigeno e suscettibile a facile colonizzazione batterica.
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