Più sicuro se abbinato ad una registrazione analogica. L’esperienza di Costanza Micarelli: la tecnologia è un enorme aiuto ma solo se abbinata ad esperienza e conoscenze del clinico e del tecnico
La dott.ssa Costanza Micarelli (nella foto) da anni sperimenta e studia le tecnologie Cad Cam applicate alla riabilitazione protesica, già socia attiva AIOP e socio fondatore della SIPRO è una delle relatrici italiane apprezzate nel mondo.
Abbiamo incontrato la dottoressa Micarelli a Rimini in occasione dell’evento organizzato dalla CAO nazionale proprio per approfondire le nuove tecnologie applicate all’odontoiatra ed i risvolti etici, al termine della sua relazione proprio sull’uso consapevole del digitale in protesi.
Dott.ssa Micarelli, perchè ad oggi gli articolatori virtuali non sono ancora pienamente affidabili?
In generale bisogna far passare il concetto che quello che vediamo sullo schermo non è necessariamente quello che abbiamo sul paziente, e che il digitale in protesi funziona bene ma deve essere ben conosciuto, ben utilizzato e soprattutto controllato. Gli articolatori virtuali sono dei software che riproducono la relazione statica e dinamica tra mascellare superiore e mandibola, e come tali funzionano più o meno bene a seconda della programmazione e dei dati che vengono forniti loro. Se il dato fornito al software è derivato da una registrazione analogica, ovvero dalla scansione dei modelli montati su articolatore meccanico settato con arco facciale statico o dinamico, la virtualizzazione riguarda solo lo strumento, ovvero il tipo di articolatore che si decide di utilizzare, e si suppone che il movimento che il programma simula sia lo stesso che compie l’articolatore meccanico. Diverso è se la virtualizzazione comincia dalla acquisizione delle coordinate del paziente con strumenti di complessità e di tecnologia molto diverse tra loro. In questo ultimo caso, che si tratti di strumenti che riproducono i movimenti individuali del paziente o che vengono regolati dal software a valori medi, i punti che identificano i piani e gli assi necessari ad orientare i modelli virtuali per simulare correttamente i movimenti mandibolari vengono identificati e trasferiti in modo completamente virtuale.Sono stati proposti approcci molto diversi per identificare e trasferire detti punti, da quello radiologico a quello fotografico e la tecnologia è in continua evoluzione; gli strumenti proposti variano molto in costo e complessità, ma al momento non sono adeguatamente supportati da dimostrazioni di efficacia che li rendano affidabili e clinicamente utilizzabili con la stessa predicibilità che forniscono gli strumenti meccanici. La ricerca dovrà lavorare in tal senso per identificare e codificare un flusso di lavoro che eviti ai clinici investimenti ingenti in tempo e risorse economiche che potrebbero rivelarsi non adeguati allo scopo.
Questo vale per tutte le situazioni cliniche?
Un punto molto importante da chiarire è che, come detto, il digitale “per se” non garantisce il risultato, sia le modalità di scansione che quelle di registrazione dell’occlusione sono cruciali e non sono generalizzabili tra uno strumento ed un altro in quanto sia la tecnologia di acquisizione che i software di elaborazione sono diversi tra loro. Sia clinici che odontotecnici nella gran parte non hanno un background culturale in grado di entrare nel dettaglio degli aspetti tecnologici soprattutto relativi ai software. Per questo è importante che chi approccia il digitale si confronti con colleghi più esperti e valuti criticamente i risultati ottenuti. E’ ovvio che i casi più semplici e di limitata estensione pongono problemi minori, più il caso è complesso più, per ottenere la precisione negli aspetti funzionali, è utile disporre del maggior numero possibile di informazioni soprattutto con i nuovi materiali e gli approcci minimamente invasivi che prevedono spessori minimi di materiale da restauro.
La sua è una considerazione che nasce dalla sua esperienza clinica o ci sono anche riscontri in letteratura?
La letteratura in questo campo è in continuo sviluppo così come gli strumenti, e i riscontri sono limitati dipendendo dagli strumenti utilizzati e dai protocolli usati per le verifiche. La mia esperienza, condivisa con i colleghi e con gli odontotecnici con i quali collaboro, esperti sia in procedure analogiche che digitali, è che bisogna prestare la massima attenzione a verificare e supportare clinicamente quanto i diversi flussi producono. I riscontri che abbiamo avuto finora sia clinicamente che sperimentalmente ci dicono che i flussi interamente digitali sono molto affidabili ma nei casi più estesi è utile abbinarli a controlli di tipo analogico, ovviamente questo vale limitatamente agli strumenti che abbiamo testato.
C’è un modo per renderli più affidabili? Se si come?
I fattori che portano a realizzare manufatti protesici accurati sono molti, e l’errore è dietro l’angolo con tutti i tipi di flusso. La digitalizzazione elimina alcune variabili sia in clinica che in laboratorio, ma ne aggiunge delle altre che ancora non conosciamo bene. Il confronto continuo tra clinici e tecnici, la collaborazione tra la professione ed i centri di ricerca e la trasparenza nella narrazione dei risultati sono indispensabili per addentrarsi con passi sicuri in un terreno che già ora presenta vantaggi indiscutibili e che sarà a tutti gli effetti il futuro della professione in tutte le branche dell’odontoiatria.
Differenze nel posizionamento dei modelli virtuali con e senza arco facciale
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