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04 Aprile 2022

Università e odontoiatria al digitale: serve una visione integrata

Prof. Di Lenarda: non è la soluzione per riuscire a fare in fretta grazie a strumentazioni avanzate. Nelle Università sarà un insegnamento integrato per guidare la transizione

Nor. Mac.

Questo fine settimana, da 7 al 9 aprile a Bologna, torna in presenza il Congresso del Collegio dei Docenti giunto alla sua ventinovesima edizione.
Tema centrale del Congresso quello dell’odontoiatria digitale, del riuscire a combinare le sistematiche e le conoscenze analogiche con quelle digitali ma anche come guidare la transizione.

Ovviamente il luogo deputato per favorire questo processo è l’Università, a lei infatti è affidato il compito di formare i futuri odontoiatri e di collaborare alla formazione continua di chi già è attivo nella professione e deve aggiornare il proprio bagaglio di conoscenze e competenze. 

Ne abbiamo parlato con il Presidente del Collegio dei Docenti Universitari di Discipline Odontostomatologiche il prof. Roberto Di Lenarda (nella foto durante l’inaugurazione dell’anno accademico con il Presidente Sergio Mattarella).  


Partiamo da questa considerazione: il digitale sarà il futuro per la clinica odontoiatrica? 

Credo che non sia corretto parlare di digitale solo come futuro, infatti se ne parla da più di dieci anni. Oggi la sfida è quella di costruire una visione “complementare” del digitale, sia per quanto riguarda i percorsi che i processi clinici.Già oggi la quasi totalità degli odontoiatri nella propria pratica clinica utilizza tecnologie digitali, anche solo per effettuare un esame diagnostico attraverso un Rx. La sfida è quella di acquisire non solo una mentalità orientata verso i protocolli digitali ma rendere questi protocolli parte integrante di tutta l’attività clinica. 
Mi permetta l’esempio banale, oggi siamo ancora nella fase in cui più di qualcuno, quando riceve  una mail, per leggerla preferisce stamparla.Certamente in alcune discipline, come per esempio la protesi, si è più avanti ma in generale si dovrà integrare il flusso digitale in ogni ambito clinico. E su questo i giovani, la loro flessibilità e velocità di apprendimento sicuramente ci potranno aiutare.Il digitale consente di lavorare in un modo diverso, più efficacemente, più velocemente, con procedure più standardizzate, con processi controllabili e predicibili ed anche in modo più ecosostenibile.In questa fase di evoluzione, il saper usare non è l’unico aspetto su cui dobbiamo concentrare l’insegnamento, serve anche favorire l’analisi critica.

Nei momenti di forte transizione ed innovazione tecnologica il potenziale rischio di un’offerta a volte creativa e arrembante non va sottovalutato. Bisogna imparare a capire cosa realmente serve e cosa non serve e quali sono gli strumenti e le sistematiche validate e quelle invece che non lo sono. Ma anche essere pronti a cogliere tempestivamente le opportunità che portano un reale valore aggiunto.  


Come l’Università si sta organizzato o si è organizzata per formare i futuri odontoiatri su questi aspetti? Il digitale si integrerà nei singoli insegnamenti oppure sarà un corso specifico? 

Parlo a titolo personale. Se fino a 10 anni fa’ un corso specifico sul digitale era la risposta più coerente per fare comprendere una nuova sistematica e contribuire ad “alfabetizzare” gli studenti, oggi non ritengo sia più così. Dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi come il digitale può intrinsecamente aiutarci, e per questo lo vedo molto più razionalmente e efficacemente integrato nei percorsi didattici delle diverse discipline. 


Implementare i corsi con le tecniche digitale comporta, anche, un problema di costi. Le Università riusciranno ad attrezzarsi? 

Certamente queste tecnologie hanno costi importanti per apparecchiature e software, ma sono convinto che le Università dovrebbero poter superare questi problemi anche perché questi costi devono venire rapportati sulla numerosità di utilizzo, sul numero di prestazioni effettuate. Credo che paragonati ai costi dei materiali che la pratica clinica comporta non siano superiori, anzi, per certi versi possano essere più contenuti. Se devo insegnare a 40 studenti come rilevare le impronte in modo tradizionale, mi servirà il materiale necessario per ogni impronta moltiplicato per il numero di impronte che vengono eseguite (più gli inevitabili rifacimenti..). Se gli stessi studenti devono impratichirsi con uno scanner intraorale, certo ci sarà il costo iniziale ma poi questo costo viene ammortizzato per ogni singolo utilizzo.
Piuttosto, in questa fase, il problema sarà dover insegnare sia le tecniche analogiche che quelle digitali perché, ovviamente, lo studente dovrà essere padrone di entrambe le tecniche.  


Le due odontoiatrie dovranno convivere ancora per molto? 

E’ sbagliato a considerare analogico e digitale due mondi paralleli. Si deve pensare ad una integrazione, una evoluzione. E’ evidente che oggi allo studente non insegniamo più le corone stampate, però si dovrà continuare ad insegnare le basi analogiche così come dovremo insegnare quelle digitali.
Non siamo ancora e ritengo non lo saremo ancora per molti anni nelle condizioni di dimenticare le competenze acquisite sulle tecniche tradizionali, perché non tutti gli studi, non tutti i laboratori sono attrezzati. Sono due mondi che nei nostri insegnamenti dovranno coesistere. Mi ripeto, oggi credo che si debba integrare per crescere e migliorare, non sostituire. 


Durante l’inaugurazione del Congresso verrà trattato il tema del saper gestire il cambiamento, un tema che tocca più i professionisti attempati che i giovani? 

Ho 56 anni e la presunzione di non considerarmi attempato o superato dal progresso della tecnologia. Peraltro, pur essendo chiaro che l’essere attempato dal punto di vista tecnologico non è solo una questione anagrafica, i nati almeno da metà anni 70 dello scorso secolo sono oggettivamente nati e cresciuti con l’informatica. Ma dobbiamo analizzare criticamente lo scenario: aver cominciato ad utilizzare da bambini (e magari per tante/troppe ore al giorno), tablet, telefonini magari con un approccio al digitale mediata dalla superficialità del breve periodo nel social di turno, se elimina il gap culturale dell’approccio al digitale, non garantisce di per sé di essere in grado di sfruttarne compiutamente le potenzialità.L’approccio al digitale non va infatti banalizzato.
L’odontoiatria al digitale prevede e necessita di standardizzazione, di precisione, di predicibilità dei percorsi, necessità di studio, applicazione. Oggi abbiamo strumenti molto efficienti che se usati correttamente, nelle condizioni previste, offrono ottimi risultati. Ma dipende dalla situazione, dai protocolli, dal rigore. Un esempio banale: la rilevazione ottica dell’impronta su un tessuto gengivale non guarito, offrirà una qualità non ottimale e molto probabilmente inferiore ad una impronta tradizionale.Il digitale in odontoiatria non deve essere visto come il sistema che ci permette di risparmiare tempo, permettendo di saltare passaggi o banalizzare  protocolli. E’ uno strumento potentissimo che però necessita l’applicazione di rigidi protocolli validati. 
Anche per questo abbiamo deciso di dedicare il nostro Congresso alla discussione di questi temi. 
          

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