Alla vigilia del Congresso dei Docenti abbiamo intervistato il presidente prof. Roberto Di Lenarda.Tra i temi toccati anche l’odontoiatria pubblica ed i test di ammissione ai corsi di laurea
Dal 20 al 22 giungo, a Trieste, il Collegio dei Docenti Universitari di discipline Odontostomatologiche celebra il suo 31° Congresso dal titolo: L’Odontoiatria sostenibile e predicibile nel pubblico e nel privato.
Per l’occasione abbiamo video intervistato il presidente del Collegio dei Docenti, il prof, Roberto Di Lenarda, odontoiatra, Magnifico Rettore dell’Università di Trieste. Di seguito alcuni stralci della video intervista che trovate nella versione integrale al fondo.
Prof. Di Lenarda, partiamo dal titolo del congresso: L'odontoiatria sostenibile e predicibile. Perché poi avete aggiunto la precisazione: nel pubblico e nel privato?
Non voleva essere una precisazione ma una sottolineatura. Anche perché credo che oggi come oggi per una odontoiatria moderna così tanto cresciuta anche in termini di qualità dell’offerta, dobbiamo sempre di più essere in grado di tenere insieme questi due concetti. Predicibilità che è tipicamente insita nella qualità della prestazione, nella scelta del tipo di prestazione e di come questa viene svolta. Ma anche la sostenibilità. Sostenibilità vuol dire inseguire la prestazione perfetta ma inserendola all'interno del contesto del paziente e della società in cui ci muoviamo. Se da un lato la predicibilità è intrinsecamente uguale sia nel pubblico che nel privato, perché riguarda la prestazione, la sostenibilità per certi è diversa. Ricordiamo che per il pubblico la sostenibilità è in buona misura correlata alla possibilità di essere sostenuta da investimenti pubblici. Storicamente l’odontoiatria pubblica è stata vista come qualcosa di poco efficace, poco efficiente e fonte di spreco di denari pubblici. L’odontoiatria pubblica diventa sostenibile nella misura in cui riesce a intersecare la possibilità del singolo di accedere alle cure grazie all’aumento di efficienza. Nel privato la situazione è diversa, si deve gestire una sostenibilità riferita alla struttura e quindi abbiamo vari elementi: i costi, la burocrazia, le difficoltà gestionali tutt'altro che trascurabili. Poi c’è la sostenibilità del paziente e questo è un fattore, non solo, ma primariamente di natura economico.Sostenibilità e predicibilità sono quindi due elementi che devono essere tenuti nella giusta considerazione.
Un modello di odontoiatria pubblica sostenibile può essere quello attivato in Friuli Venezia Giulia qualche anno fa verso il quale lei si molto dedicato?
Progetto regionale partito nel 2016 ma ci sono voluti 4-5 anni per riuscire a convincere il decisore politico che valeva la pena investire su questo. Nessun progetto è privo di problemi, anche il nostro è stato implementato con diverse velocità e diversa efficienza nelle varie Aziende sanitarie, ma non c'è dubbio che la progressiva omogeneizzazione dei criteri di accesso, ha creato anche le condizioni per cui la popolazione sa di poter richiedere i servizi. Noi oggi siamo organizzati in tutta la regione in modo omogeneo, almeno dal punto di vista qualitativo, con dei pronti soccorsi odontoiatrici ad accesso diretto, con dei punti di riferimento per la diagnosi precoce del tumore del cavo orale, con una definizione chiara e uniforme dei criteri di accesso alle terapie in base ai pazienti, quelli con vulnerabilità economica e con vulnerabilità sociale o quelli in età evolutiva, anche per quanto riguarda le tipologie di prestazioni. È chiaro che in una struttura come la nostra, che è una Clinica universitaria che eroga circa 90 mila prestazioni all'anno, offriamo qualcosa di più di più avendo la necessità di seguire un percorso virtuoso per fare si che le prestazioni ci permettano di formare i nostri studenti. Dando una risposta assistenziale, aggiungiamo un elemento credo rilevante del nostro progetto. Il poter utilizzare anche l'elemento ‘pagamento’ -soprattutto per le prestazioni extra Lea, cioè quelle non garantite a tutti diciamo gratuitamente o solo col pagamento del ticket- diventa, anche, una sorta di autofinanziamento che ci permette poi di offrire, a tariffe più che calmierate, le stesse prestazioni a chi non avrebbe possibilità di accesso. Un sistema che funziona bene non solo a Trieste ma in tutto il territorio regionale anche se il 60% delle prestazioni è resa dalla nostra università. Ma Trieste è anche la città più popolata della regione.Aggiungo un aspetto sulla sostenibilità, ovvero che esiste nella misura in cui c'è un finanziamento pubblico. Ma questo finanziamento pubblico deve essere alla base non di una odontoiatria che costa poco, che non servirebbe a nessuno, ma di un'odontoiatria di qualità. E quindi è ancora più importante definire bene i criteri di accesso, identificare le prestazioni da offrire, identificare la platea dei cittadini e identificare l'entità del cofinanziamento. Tutto con la piena consapevolezza che questo sistema può essere sostenibile solamente se siamo in grado di raggiungere un'efficienza operativa.Quindi il vecchio claim che indica l'odontoiatria pubblica come di basso livello e pure poco efficiente deve essere superato, superato coi fatti e non con le parole. Quando mi si dice che dobbiamo stare più attenti a esigenze ed interessi degli operatori, invece che a quelli dei pazienti, io dico no, perché se vogliamo che questo sistema stia in piedi, dobbiamo pensarlo sui pazienti, sulle prestazioni e, appunto, sulla sostenibilità. Che vuole dire usare bene fino all'ultimo euro che il sistema ci mette a disposizione.
Quanto è importante il ruolo dell’Università?
L'università, oltre a essere e dover essere il luogo fisico in cui si punta alla maggiore eccellenza perché si deve puntare alla trasmissione del sapere, delle best practice attualmente disponibili, è uno straordinario bacino di professionisti in formazione. Presso l’università di Trieste, ci sono attivi circa 30 studenti all'anno, vuol dire che noi abbiamo contemporaneamente almeno 60 studenti in tirocinio che turnano nella settimana, quindi vuol dire che noi riusciamo a quadruplicare l'offerta formativa rispetto a quelle che potremmo fare solo come dipendenti, quindi alzare il livello qualitativo. E’ chiaro che questo può funzionare se il percorso formativo parte con efficacia dalla parte teorica, la parte preclinica, se il lavoro è fatto in scurezza con la consapevolezza che i nostri pazienti non devono avere meno rispetto e meno attenzione solo perché non pagano o pagano poco, anzi, proprio perché noi siamo l'unica opzione che hanno, devono avere, e devono essere, oggetto di attenzione ancora superiore.
Tutte le volte che la incontro parliamo di numero programmato, di test, di accesso alla professione, anche perché tutte le volte c'è qualche novità o qualche annuncio. L’ultimo in ordine cronologico quello di qualche settimana fa con l'ipotesi di nuova revisione del dell'accesso al test di medicina ed odontoiatria, che sembrerebbe complicare la vita alle università mentre poco cambierebbe per lo studente. Cosa ne pensa?
Se dicessi quello che penso bisognerebbe mettere un po’ di bip. Certamente crea problemi organizzativi all’Università ma è drammaticamente peggiorativo per gli studenti. Credo e spero che questa proposta che è in Commissione cultura, dopo le elezioni si sciolga come neve al sole. Peraltro non è una proposta ma un documento che definisce i criteri all'interno dei quali dovrebbe essere preparata una legge delega nell'arco di 12 mesi dall'approvazione. Già questi tempi ci fanno capire che se si parla di qualche novità, se va benissimo la vedremo nell’anno accademico 2026-2027. Ma il punto principale è che così come è concepita è inapplicabile. Molti i punti critici, ne cito alcuni.
Il primo semestre in cui le università dovranno gestire 70-80mila studenti. A pensar male verrebbe da ipotizzare che si voglia costringerci a farlo fare alle telematiche.
Dopo sei mesi decidere chi tra i 70mila possono diventare i 15-20 mila che potranno continuare medicina o odontoiatria. Quelli esclusi viene indicato che potranno continuare seguendo altri corsi di laurea ma questo è tecnicamente impossibile perché non c’è un primo anno comune, inoltre viene previsto che le iscrizioni di coloro che non entrano a medicina e odontoiatria potrebbero essere formalizzate in sovrannumero rispetto alla numerosità prevista per i corsi di laurea dei profili sanitari, creando disparità di numerosità. Poi in questa proposta non si specifica quale sarebbe il criterio e le modalità per definire, al termine del primo semestre, la graduatoria nazionale per l'iscrizione. Se è un esame nazionale tanto vale mantenerlo a settembre e non prendere in giro 50.000 ragazzi, se invece è come qualcuno dice sulla base della media dei voti degli esami del primo semestre, non oso immaginare cosa succederebbe nel momento in cui un professore universitario non desse il massimo dei voti ad uno studente che deve utilizzare quel voto per partecipare all'iscrizione graduatoria nazionale. È un sistema folle, insostenibile, pericoloso.
Invece a che punto siamo sulla laurea abilitante?
Attualmente credo, oltre a Trieste, siano 7-8 gli Atenei che partiranno. Al Congresso del Collegio faremo il punto sulla situazione raccogliendo i dati sulle Università che partiranno o che potranno partire. La norma è stata sicuramente uno stimolo importante per tutte le sedi Universitarie per accelerare i percorsi formativi legati alla pratica, per aumentare e migliorare l'attività di tirocinio. Lo dico anche per Trieste dove l'attività di tirocinio era attiva da tanti anni ma abbiamo colto l’occasione per migliorarla, soprattutto sulle discipline meno sviluppate e creare un sistema di monitoraggio quotidiano delle attività svolte. Credo che la laurea abilitante sia la partita più importante che portiamo a casa nella mia presidenza del Collegio, consentendo a tutte le sedi di fare un salto di qualità significativo, per portare tutti ad un buon livello.
Molti anni fa, incontrando la professoressa Elettra De Stefano Dorigo, allora presidente del Collegio, si lamentava che molti studenti puntavano solo al “pezzo di carta”, oggi invece gli studenti di odontoiatria vogliono imparare a fare i dentisti ed escono sapendo curare un paziente. Come sono cambiati gli studenti in questi 40 anni, e chi sono i professionisti che con il loro modo di interpretare la professione la cambieranno?
Sicuramente sono cambiati gli studenti, ma sono cambiati anche i docenti perchè è cambiata in buona misura anche la sensibilità. Un tempo, e l'ho vissuto anch'io sulla mia pelle, c’era un retaggio culturale che sembrava dire, non formiamo troppo bene gli studenti perché stiamo creando dei possibili concorrenti nella libera professione. Questo non esiste più, per fortuna oggi c'è la consapevolezza che è ineludibile la qualità della formazione, l'hanno capito sicuramente anche i ragazzi. Ovviamente ognuno vede il suo piccolo ambito. Credo che la farò sorridere dicendo che in qualche occasione gli studenti della nostra sede si lamentano perché dicono che fanno troppo tirocinio, fanno troppe prestazioni. Ma a dirlo è uno studente che viene in Università mezz’ora prima per potersi accaparrare il paziente clinicamente più interessante.In questo periodo in cui faccio il Rettore ho ridotto la mia attività didattica, però ho tenuto il corso propedeutico all'ultimo esame che i ragazzi sostengono prima di laurearsi in cui presentano tre casi clinici multidisciplinari, fatti gestiti interamente da loro. Devo dire che la qualità espressa da questi ragazzi è straordinaria. La consapevolezza sul fatto che devono studiare deriva da tanti aspetti, deriva dal fatto che si rendono conto che la concorrenza, fuori, è significativa, che bisogna essere preparati. Si rendono conto che non sfruttare l'occasione di studiare, prepararsi quando sei in università vuole dire andare a imparare, dopo, in corsi privati, che solo l'odontoiatra competente può scegliere dove andare a lavorare e cosa andare a fare. Questo per dire che anche io sono convinto che oggi le nuove generazioni sono più pronte a capire l'importanza e il valore aggiunto della formazione. Questo mi viene confermato ultimamente anche dai presidenti dell'AISO con cui mi interfaccio, dalla CAO che c'è stata molto vicino in questo percorso. Mi lasci chiudere con una segnalazione legata al Congresso, la lectio introduttiva che sarà tenuta dalla professoressa Dorigo che oltre a essere stata la mia maestra, credo abbia svolto un ruolo centrale nel passaggio generazionale, non facile e non scontato, che ha dato quegli elementi per far crescere ulteriormente la nostra Comunità accademica, per cui per me, oltre che essere umanamente e affettuosamente un grande momento, è anche una grandissima gioia che abbia accettato di essere con noi.
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