La questione dei limiti della pubblicità sanitaria - in particolare quella odontoiatrica - è ampiamente dibattuta, essendovi spesso contrasto tra le posizioni ordinistiche, improntate al rigore ed al contenimento del fenomeno, e le sollecitazioni "commerciali" sempre più invasive di strutture ed operatori sanitari. A mio avviso le pubblicità in ambito sanitario che svalutano l'atto medico più importante come la prima visita e l'iter diagnostico, con promesse di gratuità o esiguità dell'onorario (a volte addirittura associandolo forfettariamente a prestazioni multiple il cui singolo importo non è definito), impoveriscono le professioni con retroterra etico e culturale.
Esse infatti sono vocate alla risoluzione delle istanze di sofferenza ricevute dai pazienti piuttosto che alla proposizione di prestazioni sommarie, in un contesto che ricorda la “messainpiega” e lo shampoo dei parrucchieri (senza voler loro mancare di rispetto). Inoltre il ricorso a terminologie troppo semplicistiche "pulizia dei denti" o troppo tecnicistiche “Air-flow “, “rvg", ”sbiancamento Laser”,ecc., ecc., non concorrono alla indispensabile e doverosa comunicazione trasparente ingenerando, nella popolazione che legge ,false attese e aspettative.
Messaggi pubblicitari così intesi dunque, per forma e contenuto, si discostano dai principi di correttezza informativa, responsabilità e decoro professionale prescritti dall'art. 56 del Codice di deontologia medica. Ciò dunque, ledendo la categoria degli iscritti all'Ordine, va sanzionato anche e soprattutto per non dare l'impressione che non ci sia controllo o che si passi sopra a qualsiasi messaggio per pura giustificazione commerciale.
Infatti, secondo il costante orientamento giurisprudenziale, è consentito diffondere messaggi informativi contenenti le tariffe delle prestazioni erogate o le offerte temporalmente limitate, ma le caratteristiche economiche delle prestazioni non devono costituire l’aspetto esclusivo del messaggio informativo (CCEPS nn. 65-67 del 16 giugno 2014).
Infine, ma non per ultima valutazione, anche il Cittadino più distratto, la cui salute siamo chiamati a tutelare, balzandogli agli occhi lo spirito mercenario del messaggio pubblicitario (magari diffuso a tappeto per le vie cittadine e urlato sui “social media”), si sentirà autorizzato a identificare l'intera categoria e la sua opera con aggettivi negativi e prioritariamente sinonimi di mercificazione. Quell' "innocuo" messaggio, dunque, spacca, frattura, lacera quel rapporto così prezioso, speciale ed unico che dovrebbe unire il paziente al proprio curante".
Si potrebbe ravvisare un danno di immagine ** per la categoria?
Dott. Mimmo Coloccia: presidente CAO Campobasso (**” Il danno all’immagine è quello che lede
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