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25 Gennaio 2019

Caso del dentista romano e del paziente sieropositivo. Mauro Rocchetti pone alcune considerazioni, anche sindacali


Gentile direttore

Tenendo fede a quanto dichiarato in svariate situazioni, sono tornato, dopo la competizione elettorale nazionale del maggio scorso, ad occuparmi a tempo pieno alle mie attività personali e professionali, disinteressandomi della politica nazionale associativa, non accettando alcune proposte di ruoli o incarichi che mi sono state avanzate. Tanti Soci, molti Dirigenti, mi hanno spesso reso partecipe di alcune problematiche, sollecitandomi a prese di posizione o commenti, ma ho ritenuto fosse corretto e doveroso dare tempo alla nuova dirigenza di esprimere la propria politica e di dare corso alla varie attività. Ad otto mesi dalle elezioni, alcuni fatti di questi ultimi giorni, in primis l’episodio del paziente siero positivo allontanato da uno studio di Roma e le due dichiarazioni del Presidente nazionale ANDI, mi spingono però a rendere pubbliche alcune mie riflessioni, dato che molti ancora mi vedono come un punto di riferimento, anche a difesa di quanto di importante ed utile è stato fatto per i Soci e la Professione negli scorsi anni. 

E’ lampante, non siamo sprovveduti, che questa è una vicenda che si presta ad essere strumentalizzata e cavalcata, ma è stata comunque mal gestita e l’attacco alla Professione che ne sta derivando può divenire violento a tal punto da rendere vani anni di battaglie sindacali e di attività di comunicazione a vari livelli. 

Conosco i fatti per quanto letto sui vari organi di informazione odontoiatrici e della sanità in genere, mi sta balenando l’idea che sia stato architettato un “trappolone”, prestazione acquistata tramite un sito di vendita di prodotti, registrazione del colloquio con il dentista in sala di attesa, nel quale si è caduti, neanche in piedi. Il Collega, stante a quanto riportato, è stato forse in primis ingenuo e non in grado di gestire la situazione, dalla modalità di raccolta dell’anamnesi e dal colloquio in sala d’attesa con spettatori gli altri pazienti, alle motivazioni addotte al paziente per non procedere con il trattamento prenotato.

E’ vero che lo studio privato tecnicamente non ha obbligo di cura, ci sono però obblighi etici e deontologici che impongono al medico il trattamento, oltre ad alcune prescrizioni e obbligazioni in casi particolari, come è appunto proprio per l’HIV (Legge 135 del 5 giugno 1990, segnatamente al c.1 dell’art 5). Non è questo comunque il punto cruciale! Ci sta che il Presidente di un sindacato cerchi di difendere un proprio iscritto, un collega, che però si tenti di giustificarlo con riferimenti pseudo normativi, tra l’altro alcuni non attinenti, affermando che “ha quindi agito correttamente, rispetto alle sue prerogative organizzative, per tutelare il personale di studio, se stesso e i pazienti successivi, secondo prudenza in termini di prevenzione del rischio", è molto grave. 

Inefficace e anche ridondante la successiva replica che sa tanto di tardivo tentativo riparatore.Il messaggio che è passato è che lo studio odontoiatrico privato, che garantisce oltre il 90% delle prestazioni, non è in grado di gestire una adeguata linea di disinfezione e sterilizzazione e quindi assicurare un appropriato controllo delle infezioni crociate, mettendo così a rischio la salute dei pazienti. 

Esistono tutta una serie di norme e indicazioni, per ricordarne alcune la 81/08, la direttiva ferite da taglio, le Linee guida "Popolazione tossicodipendente: indicazioni per la promozione della salute orale ed interventi di prevenzione e protezione”, pubblicate nel 2012 dal Ministero della Salute, che impongono agli studi odontoiatrici di predisporre ed adottare protocolli operativi e procedure che garantiscano la prevenzione delle infezioni crociate, Hiv compreso, ai pazienti ed agli operatori. Lo strumentario e i protocolli operativi che uno studio odontoiatrico, privato o meno che sia, deve possedere per prevenire tali infezioni sono gli stessi per qualsiasi patologia infettiva, Hivcompresa, e debbano essere messi in atto con qualsiasi paziente, sia esso sieronegativo, sieropositivo o che non fornisca indicazioni in merito. Bisogna, infatti, aver ben chiaro il concetto che tra i propri pazienti ci possono essere anche soggetti sieropositivi che non lo hanno dichiarato o sieropositivi che ancora non ne hanno la consapevolezza.   

Nel caso specifico, tra l’altro, il paziente è stato discriminato semplicemente perché ha avuto l’onestà di rendere nota la sua condizione. I dichiaranti, di solito, sono in trattamento antiretrovirale HAART di ultima generazione e, nella maggior parte dei casi, hanno carica virale non rilevabile e quindi non trasmissibile (evidenze scientifiche a supporto, ribadite nell’ultima conferenza mondiale sull’HIV/AIDS del luglio 2018 ad Amsterdam).  Il maggior rischio d’infettività, invece, proviene dai soggetti ignari di essere sieropositivi, quindi non trattati.

E’ imperdonabile, quindi, confondere l’infezione cronica da HIV trattata dalla malattia da Aids conclamata di paziente immunodepressi, oggi ben più rari e delicati nella gestione clinica.Quante volte nella nostra vita professionale siamo venuti in contatto con sieropositivi inconsapevoli o reticenti o portatori di virus dell’epatite C?  

La nostra tranquillità non deve derivare dal fatto di “non sapere”, ma dall’applicazione certa e scrupolosa di tutti quei protocolli di sicurezza che ci consentono di trattare chiunque, come se fosse potenzialmente infettivo. 

Ma ci siamo dimenticati di quanto fatto in tal senso dalla nostra Associazione fin dal 1996 per la 626 e del costante impegno associativo in relazione al rischio biologico per allontanare l’obbligo del medico competente? E che dire delle varie indicazioni, degli strumenti messi a disposizione dei Soci proprio per garantire delle prestazioni in sicurezza? 

Questo passaggio rischia di vanificare anni di dura attività spesi, con campagne interne ed esterne, alcune con l’ausilio importante della nostra Fondazione, per allontanare dal dentista la nomea di “untore” e per riqualificare la nostra Professione.Non vorrei inoltre che in questo clima di sfiducia e caccia alle streghe i pazienti si allontanino dai nostri studi e dalle cure. Preoccupanti infine le dichiarazioni del Ministro della Salute, On. Giulia Grillo, che ha dichiarato che “non è accettabile che una persona sieropositiva sia cacciata da uno studio odontoiatrico perché non in grado di ‘gestire’ un paziente con Hiv” ed ha annunciato di voler attivare le verifiche del caso. Nuovi obblighi in vista? 

Mauro Rocchetti: Socio ANDI Viterbo  

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