Il punto di vista di un lettore che non ritiene manchino gli specialisti e ritiene ingiusto consentire a tutti di accedere ai concorsi perché penalizza chi si è specializzato
Gentilissimo Direttore,
Le scrivo per esprimere il mio punto di vista relativo ai requisiti di accesso ai concorsi in area odontoiatrica.Sono un Odontoiatra sessantenne che, avendo conseguito la Laurea fra i primi in Italia nel 1984, ha vissuto tutti i passaggi di questa travagliata professione. Pur essendomi regolarmente ed abbondantemente aggiornato, ben da prima dell’istituzione degli obblighi ECM, non ho potuto - o voluto - specializzarmi, conscio dell’impegno che tale scelta avrebbe comportato.
Ora, in un momento in cui sembra diventato di vitale importanza un po’ per tutti, Associazioni, Sindacati, Ordine, Cao, legittimare l’accesso ai concorsi pubblici anche ai colleghi privi di specializzazione, adducendo a pretesto la scarsità di specialisti, mi trovo a vivere in prima persona la situazione degli specializzandi.
Mio figlio, giovane collega trentenne, è iscritto al secondo anno di specializzazione in Ortodonzia. Ogni settimana deve frequentare la clinica universitaria per due giorni e, di conseguenza, si trova ad affrontare spese di viaggio e soggiorno e a lavorare senza alcun tipo di incentivo o retribuzione, a differenza dei colleghi Medici Chirurghi - cosa che personalmente reputo incostituzionale - lasciandomi da solo in studio proprio quando, in considerazione dell’età, avrei bisogno di essere affiancato.
Questi sacrifici, suoi e di tanti altri colleghi specializzandi, rischiano di essere vanificati dalle iniziative che si vorrebbero intraprendere per modificare i criteri di accesso ai concorsi pubblici. Veniamo alle motivazioni che spingono i nostri rappresentanti a voler cambiare la normativa.
Da quello che ho letto c’è stata una interrogazione parlamentare da parte dell’On. Boldi nella quale si paventa una compromissione del sistema di odontoiatria pubblica dovuta, suo dire, ad una carenza di specialisti e imputabile, a sua volta, al “numero estremamente limitato di scuole di specializzazione, della loro disomogenea distribuzione sul territorio e della mancanza di una relativa programmazione a livello nazionale”. Fatto sta che il numero degli specialisti nelle tre discipline odontoiatriche è molto superiore a quanto affermato dalle fonti ufficiali, basti considerare che in ogni Regione, eccezion fatta per le più piccole, esiste almeno un Ateneo con Scuole di Specializzazione attive da molti anni, frequentate da dieci-venti specializzandi per anno di corso.
Non occorre un grande sforzo per determinarne il numero complessivo e capire che potrebbero agevolmente sopperire a tutti i posti vacanti nelle strutture.
Se è vero che in sede di concorso la valutazione dei titoli vedrebbe lo specialista avvantaggiato rispetto al non specialista, è pur vero che non bisogna essere poi tanto smaliziati per comprendere che un minor benevolo giudizio in fase di prova orale potrebbe azzerare tale effimero vantaggio in favore di “qualcuno”.
Evidentemente c’è la volontà politica di non tener conto di tali fatti.A questo punto mi assale l’antico dubbio: cui prodest?
Non sono in grado di dare una risposta; certamente, se davvero si vuole che questo nostro Paese recuperi credibilità e competitività, bisogna ponderare con attenzione le scelte che si fanno, premiando e gratificando quanti si impegnano e sacrificano piuttosto che trovare soluzioni di comodo che finiscono per danneggiare tutti.
Dott. Carlo Manobianco
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