Le considerazioni sul ruolo delle linee guida e Legge Gelli dei dottori Antonio Della Valle, Vito Telesca, Luigi Barbato, Giuseppe Alessandro Scardina
Discorrere insipientemente di Linee Guida limitative di professionalità e competenza è davvero un’eccipienza per nulla comprensibile e poco credibile; soprattutto ed allorquando ci si riferisca al profilo di responsabilità tracciato organicamente dalla legge Gelli-Bianco.
La legge 24/2017, difatti, attribuisce alle Linee Guida non la base di un automatismo discrezionale del “peritus peritorum” alias Giudice o del consulente tecnico e, ancora, non formula in nessun modo una centralità imponderabile, inconsulta e sovrastante il principio della valutazione obiettiva di una malpractice.
In tal senso ed in tale vettore logico non si riconduce ad alcuno la possibilità di un’attribuzione di responsabilità secondaria ad una valutazione acritica dell’operato del sanitario. La Linee Guida rappresentano di base e, quindi, un necessario ed inoppugnabile punto di partenza e per nulla un approdo perentorio e senza giustificate motivazioni.
A chi si permette ancora ad oggi di indicare una bieca lontananza da fatti concreti e ratificabili, di certo applica più metodologie criteriologiche assicurative e visioni di interesse tecnico-finanziario che presupposti medico-legali ai fini di giustizia e di equità nella visione e nella corretta prospettiva della tutela del diritto al risarcimento.
Le Linee Guida, tanto invocate dai Giudici, sono le coordinate di riferimento alle quali riferire i fatti allocabili a profili di illecito o colpa medica. Sono pietre miliari ed elementi di dialettica intra- ed extra-professionali convenute con una comunità scientifica che non esercita apocrifie, ma meritoria focalizzazione di patologie, diagnosi e profili terapeutici.
Il Consulente Tecnico grazie alle linee guida deve con obbligatorietà definire il fatto e ritrovare nella letteratura revisionale coeva e relativa ai momenti oggetto della controversia un modello di alta scientificità in grado di sostenere sia il nesso di causalità che tutti i caratteri definizionali del danno biologico, dello stato di malattia e della sua emendabilità.Le linee guida, in vero ed ancora, sottoposte ad un vaglio concretamente meritorio, formulano un range di potenzialità diagnostica e terapeutica per il clinico e, in questo senso, per i più “radicali” della professione possono talora sembrare, per taluni versi e per certe ed obiettive posizioni, sottodimensionate circa le problematiche cliniche da analizzare e da ricondurre a soluzioni prognostiche favorevoli.
Tanti si spingono ad indicare nelle linee guida la presenza di un limite delle cure nel plausibile fattore economico in quanto a totale carico della persona assistita e fanno riaffacciare con veemenza sofistica la problematica di un’odontoiatria di “eccellenza” dai costi notevoli ed un’odontoiatria “sostenibile” ove si andrebbe a ratificare una “sufficienza” per alcune peculiarità e una “mediocrità terapeutica” per altre considerazioni sia negli interventi che nell’elezione dei materiali riabilitativi.In tal senso c’è da chiarire, al di là di ogni elucubrazione speculativa ed autoreferenziale, che esiste un mercato della professione ove per ogni problema vi è una soluzione ed in tale ottica la persona assistita può ritrovare facilmente nel panorama delle offerte sanitarie prestazionali la sua precipua collocazione secondo l’indirizzo della sua fascia economica di spesa che deve restare e deve essere osservata e non giudicata sempre nei profili dell’ autodeterminazione e delle libertà individuali.
L’adozione, infatti, di terapie protesiche implantari con dispositivi implantari ”short” in grado di by-passare in tantissimi casi opportunamente ed agevolmente la pratica di interventi di ricostruzione rigenerativa ossea e muco-gengivale dei mascellari non è di certo un limite imposto dalle linee guida allorquando poi vi è parimenti una consistente e comprovata letteratura scientifica internazionale che per nulla stigmatizza come incongrue, inadeguate ed illecite tali opzioni terapeutiche.La persona assistita dinanzi a precise necessità di cura deve avere un “discrimen” di elezione, autonomia e libertà nel suo percorso alla salute dove devono concorrere con precipua consapevolezza personale tutti i fattori oggettivi della sua scelta. Nessun professionista è obbligato ideologicamente e deontologicamente al dovere delle cure, nessuna persona assistita è obbligata al percorso terapeutico più elettivo identificato da quel determinato professionista.
L’eccellenza in medicina nasce dal rapporto che esiste tra la soluzione scientifica della patologia e la prognosi favorevole ratificata sempre dalle evidenze scientifiche e non da altri e fantomatici rapporti congetturali!Il CTU come lo stesso CTP devono informare alle linee guida la più scientifica esegesi dei dati dei casi osservati ed analizzati e sempre correlandoli a quella letteratura scientifica da cui le stesse linee guida discendono e con cui esse devono pienamente concatenarsi al momento temporale e causale in cui i fatti della controversia si sono andati a concretizzare e slatentizzare.
La legge Gelli-Bianco pretende, quindi e giustamente, che il CTU abbia elevate competenze derivate non dalle semplici iscrizioni a Società Scientifiche, iscritte pure e tra l’altro alcune nell’elenco del Ministero della Salute secondo i canoni e le prescrizioni previste, ma capacità professionali confortate da prassi operative nel campo e suggestive di una preparazione scientifica dimostrata sia nello stesso esercizio pleiomorfico delle consulenze sia sostenute da pubblicazioni scientifiche nazionali ed internazionali e non meri tesi di master, in cui il consulente esprima le sue indomite doti di analisi e di percipienza dei più attuali e controversi temi della materia.Il Consulente deve allora formarsi alla “capacità scientifica” e questo è ottenibile e sostenibile solo con un esercizio in un senso iconico, ovvero realmente raffigurativo ed evidente, superiore ai suoi stessi interessi professionali.
Reiterare la riproduzione di modelli statici di consulenti rappresentativi di interessi e mediatori di ogni eventuale ed inopportuno “magma iniquo giurisprudenziale” e “non latori di equi contributi giuridici” è il vero problema ed è manifestamente la causa dell’automatismo tanto adombrato e tanto spettralmente ravvisato.
Le linee guida nella mani di un professionismo medico-legale mediocre ed ammantato di perniciose velleità media-conciliative ad oltranza, inopportune, comode e validabili per ogni stagione è il vero punto sfavorevole alla risoluzione delle controversie; pertanto, le linee guida con audacia si ergono come argini di questa deriva in quanto non hanno in sé alcuna prospettiva di irrigidimento dei protocolli operativi diagnostico-terapeutici, anzi è concretamente il giusto contrario!Sono gli avventori medico-legali informati al tecnicismo sillogistico ed al riduzionismo pseudo-scientifico che, trasformando il contenzioso medico-legale in un “concorso di colpa” mutuato agevolmente e impudentemente dall’infortunistica stradale, lanciano a mo’ di sacchetto di rifiuti sulle strade provinciali le linee guida, un “valore così pregnante e polare” della consulenza, che ha con tali invereconde modalità solo varchi immensi al deliquio e all’inoppurtuno nichilismo detrattivo.
La legge 24/2017 non riconduce le linee guida ad un momento statico e apodittico dell’attribuzione di responsabilità al sanitario; non limita né l’evoluzione scientifica del professionista né la sua indipendenza e libertà costituzionale nell’esercizio professionale; anzi, le linee guida aprono continuamente le porte dell’intellettività del professionista a rispondere scientificamente del suo operato e, quindi, gli conferisce praticamente un dinamismo realistico alla massima consapevolezza delle sue scelte e della sua specifica e continua capacità di autodeterminazione.
I protocolli delle linee guida sono protezioni intrinseche e non limitazioni estrinseche, prescindere da essi è mera ed inopportuna espressione di deriva professionale ed irresponsabilità; ovvero ci si colloca nella posizione di non essere più capaci di formulare delle risposte scientificamente congrue al proprio operato terapeutico.
Antonio Della Valle, Vito Telesca, Luigi Barbato, Giuseppe Alessandro Scardina; odontologhi forensi
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