Il presidente CAO Brescia commenta le parole della presidente Di Marco sulla recente sentenza del Tribunale di Messina
Gentile Direttore, non posso che esprimere un certo stupore leggendo i commenti a firma del Presidente Commissione di Albo Igienisti dentali dott.ssa Caterina Di Marco alla sentenza del Tribunale di Messina sul caso dell’igienista dentale (si veda il nostro approfondimento NdR).
Il mio è lo stupore di chi rileva una sostanziale e -ritengo- deliberata distorsione comunicativa del contenuto della sentenza e, in ultima analisi, dei diversi profili di responsabilità del professionista sanitario. La sua mi pare infatti più la risposta ad una sindrome da accerchiamento che la ponderata analisi del quadro normativo anche alla luce dei diversi arresti giurisprudenziali noti. Partiamo dai concetti di responsabilità: il profilo penale non coincide con quello amministrativo.
Le sentenze si commentano e si applicano certamente ma non si elidono vicendevolmente.
Il Consiglio di Stato, supremo organo di giurisdizione amministrativa, con la nota sentenza n. 1703/2020 ha ampiamente motivato sulle ragioni che impediscono la nascita di uno studio di igiene dentale, che è il punto di arrivo del ragionamento della dott.ssa Di Marco. Ne ha individuati i rischi e ha ritenuto che svuoterebbe di significato il concetto di ‘indicazione’ al trattamento che deve pervenire dal medico odontoiatra.
Sussistono dei rischi?
Sì, perché a differenza di quanto viene proposto alla platea degli uditori e al decisore pubblico per indurlo a cambiare prospettiva, alcuni delle azioni per cui l’igienista dentale è abilitato posseggono carattere di invasività tali da precluderne lo svolgimento in strutture non adeguatamente organizzate alla gestione del rischio clinico; alcune delle prestazioni per cui l’igienista dentale è abilitato implicano l’effettuazione di procedure anestesiologiche che lo stesso professionista non è invece abilitato ad eseguire perché non rientrano nel suo profilo; alcune delle procedure per cui l’igienista dentale è abilitato implicano il compimento di accertamenti radiologici, anche hic et nunc, che non è nella possibilità di svolgere poiché esorbitano dalla sua formazione.
Lo studio autonomo di igiene non è sostenibile semplicemente per quelle ragioni, che il Consiglio di Stato ha evidentemente compreso e posto alla base della propria pronuncia, affinchè l’Autorità amministrativa fosse nella condizione di negare la possibilità di concretizzare tale esercizio professionale in studio autonomo, poichè in contrasto con fondamentali esigenze di tutela dell’utenza.
Il rischio che potesse verificarsi la sovrapposizione fra il piano del rapporto fra le professioni e quello funzionale dell’organizzazione delle strutture in cui operano (che è l'errore in cui cade la dott.ssa Di Marco stessa) era noto anche ai Giudici di Palazzo Spada che infatti scrivevano che “occorre infatti distinguere, i profili legati al rapporto, in termini lavoristici, tra le due figure professionali (non più intesi in senso gerarchico, ma di collaborazione libero professionale, da quelli prefigurati dal legislatore in chiave funzionale rispetto all’esigenza di garantire un adeguato livello di sicurezza del paziente. (…) L’ordinamento oggi si è evoluto, affrancando l’igienista dal rapporto di dipendenza e conferendo al medesimo autonomia professionale nelle attività di sua stretta pertinenza (ablazione del tartaro, levigatura delle radici, etc.), ma non sino al punto da elidere la necessità della compresenza, all’interno della medesima struttura o studio professionale, dell’odontoiatra. (…) Il Collegio è consapevole che la latitudine del concetto di “indicazione” dell’odontoiatra, nei termini sopra tracciati, non è appagante nella misura in cui finisce per scaricarsi indirettamente, come del resto è successo nella vicenda de qua, sulla concreta possibilità che l’igienista dentale possa concretamente essere autorizzato ad avviare un proprio autonomo ed esclusivo studio professionale prescindendo dalla compresenza di un odontoiatra. Il tenore della disposizione, evidentemente posta a tutela della salute dei pazienti, non consente però margini esegetici tali da giungere a conclusioni diverse”.
Purtroppo, nonostante queste premesse, che pesano come macigni sul dibattito, siamo costretti a tornare sul tema perché viene sollevata la questione della cattiva interpretazione della sentenza in esame (cattiva interpretazione da parte di chi, a questo punto?). Il recentissimo giudicato del Tribunale penale di Messina cambierebbe infatti -a suo dire- le carte in tavola sparigliando a favore dell’igienista l’annosa questione. In verità nulla quaestio: il reato di esercizio abusivo si configura solo laddove il soggetto si appropri di prestazioni che la riserva di legge attribuisce ad altre professioni e infatti non pare proprio fosse il caso di Messina, che ci fosse o meno indicazione e compresenza dell'odontoiatra. Per essere ancora più chiari: in nessun caso, neppure se esercitasse in mezzo ad una strada (lo dico provocatoriamente, beninteso), lo svolgimento da parte dell’igienista di prestazioni che gli sono proprie si configurerebbe come illecito penale, integrando piuttosto violazioni sul versante del diritto amministrativo. Pertanto la sentenza di Messina non dice a mio parere nulla di rivoluzionario.
Aspetto pertanto che invece di rivendicazioni improduttive (le stesse della circolare agli iscritti in commento alla sentenza inviata dalla presidente Di Marco) vi siano altri pronunciamenti di carattere amministrativo sul tema oppure, come prefigurava il Consiglio di Stato, non resta “che rimettersi alla ponderata scelta del legislatore, ove l’evoluzione e l’approfondimento dei percorsi formativi, l’affinamento e la sicurezza delle tecniche di intervento ne lascino intravedere i presupposti secondo la migliore scienza ed esperienza”.
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