Durante la sua relazione nell’ambito del simposio dedicato alla prevenzione organizzato da Gaba allo scorso Collegio dei Docenti, il dott. Roberto Ferro ha “preoccupato” i dentisti presenti preannunciando che da lì a poco ci sarebbe stato molto meno da fare. La causa è la salute orale degli italiani, o meglio dei giovani italiani: decisamente in buono stato.
E il dott. Ferro, in oltre 20 anni di professione, di bocche di bambini ne ha viste tante. Direttore dell’Unità Operativa Odontoiatrica AUSSL 15, direttore del Centro Regionale per la Promozione della salute orale del Veneto, docente di Odontoiatria di comunità e di Cardiologia presso l’Università di Padova, già presidente della Società europea di odontoiatria pubblica il dott. Roberto Ferro si occupa prevalentemente di salute orale dei più giovani e lo fa in una struttura pubblica nella quale operano sei odontoiatri e tre igienisti, oltre a studenti dei corsi di laurea in Odontoiatria e di Igiene dentale dell’Università di Padova.
Quindi la salute orale dei bambini italiani è in buono stato.
Confrontando i dati epidemiologici dei nostri bambini con quelli dei coetanei d’oltreconfine abbiamo la conferma che mediamente la salute orale degli italiani fino ai 12 anni è buona. E questo è un dato importante visto che l’Italia, a differenza di altri Paesi europei - soprattutto dell’Europa del Nord - non ha un Ssn che ha puntato sulla prevenzione. I nostri indici di salute orale sono sovrapponibili ai loro e questo è un risultato significativo perché conferma che la cultura della bocca sana si è ormai radicata nella popolazione italiana.
La carie è una malattia provocata prevalentemente da abitudini scorrette e la sua diminuzione nel nostro paese è collegata a un miglioramento degli stili di vita: si pensi nello specifico all’uso regolare di spazzolino e dentifricio al fluoro.
Si parla di un miglioramento impressionante visto che nel giro di 20 anni l’incidenza della carie è diminuita dell’80% traducendosi in un notevole risparmio economico per le famiglie e naturalmente in uno stato di benessere generale.
A chi attribuiamo il merito di questo risultato?
In primis all’industria, che ha avuto un ruolo determinante nel sottolineare e amplificare i messaggi della classe odontoiatrica producendo e rendendo disponibile per tutti il dentifricio al fluoro il cui utilizzo ha rappresentato la vera chiave di volta nel miglioramento della salute orale. Fattore concomitante è stata l’enorme azione comunicativa intrapresa dall’industria stessa per promuovere i propri prodotti. Attraverso i mass–media ha sensibilizzato le famiglie all’importanza dell’igiene orale come parte integrante della salute in generale. Da quanto elencato s’intuisce che, senza nulla togliere ai dentisti, a fronte di questo favorevole trend di cui ha beneficiato gran parte della popolazione, il ruolo dell’industria è stato utile per i pazienti. La carie si combatte soprattutto lavandosi i denti con il dentifricio al fluoro e la pubblicità ha convinto gli italiani a farlo.
Quindi la pubblicità poté più dei dentisti contro la carie.
I dati sull’incidenza della carie lo dimostrano. In questi decenni non c’è stato un progetto mirato da parte dello Stato volto alla promozione della salute orale che ha coinvolto i medici e i dentisti per prevenire la carie. Anche l’OMS sostiene che la buona salute orale nei paesi industrializzati è stata raggiunta grazie all’azione dell’industria nel promuovere i loro prodotti per l’igiene orale. Esigenza che si è sposata, fortunatamente, con la necessità di salute della popolazione.
Lei lavora nel pubblico. Perché è difficile fare odontoiatria pubblica?
Perché costa. Da quando è stato istituito nel 1978, il nostro Ssn copre il bisogno di salute di tutti. Copiato dal Servizio sanitario inglese, il nostro Ssn, a differenza di quello d’oltremanica, non si è preso cura dei bisogni di salute orale dei cittadini italiani delegandoli, invece, alla libera professione. Quel poco di odontoiatria pubblica che esiste per molto tempo ha garantito un’assistenza mirata a togliere il dolore e con esso i denti.
Consideriamo che negli anni ‘70 l’approccio alla salute orale era profondamente diverso da oggi. Con il tempo siamo passati da una odontoiatria “dell’estrazione” a quella “conservativa”, fino all’odontoiatria di oggi in cui si “promuove la salute orale”.
In questo scenario, come già detto, l’assistenza è stata svolta dai privati e lo Stato ha tentato di gestire le emergenze non facendosi carico dei rimanenti bisogni. E tanto meno lo farà oggi visti i grossi problemi di bilancio. Il Ssn per l’odontoiatria dovrebbe complementarizzarsi alla libera professione per dare un’assistenza a tutti quei soggetti che definiamo “speciali” quali i portatori di handicap, i soggetti con gravi patologie invalidanti, i socialmente deboli. Sul tema della prevenzione, o meglio della promozione della salute orale, qualificante e focale è il coinvolgimento dei bambini della scuola dell’infanzia.
Bisogna quindi puntare sulla promozione della salute orale tra i bambini per evitare di spendere, domani, quando saranno grandi?
Ovviamente le direi di sì, ma provocatoriamente mi chiedo se serva realmente.
Se guardiamo i dati epidemiologici dei giovani finlandesi, svedesi, danesi, inglesi, dei paesi dove lo Stato investe nella prevenzione e nella promozione della salute orale dei bambini, notiamo che hanno gli stessi indici di salute orale dei nostri bambini.
La carie, è assodato, è un problema sociale, nel senso che la sua prevalenza dipende dalla classe sociale di appartenenza del singolo. Da tutto il mondo, come dal nostro Paese, i dati confermano che si ammalano di carie i bambini appartenenti alle classi sociali più svantaggiate. Il mio punto di vista è che bisogna investire con progetti mirati, magari locali più che nazionali, investendo dove c’è carenza di salute orale. Si dovrebbero individuare quelle zone d’Italia dove l’incidenza della carie è più significativa rivolgendosi alle fasce sociali più deboli per migliorarne la salute orale portandola al pari della popolazione con indici già buoni.
Ottimizzare le risorse.
Ottimizzare le poche risorse disponibili.
Le faccio un esempio. L’azione preventiva della sigillatura è indiscutibile. Sono un sostenitore della sigillatura. Venti anni fa avevo pubblicato uno studio su 6700 bambini della nostra zona. Era il 1989 e quello studio riportava i dati di un progetto di prevenzione che si chiamava “Progetto Città Murata”. Uno dei cardini del progetto era il posizionamento dei sigillanti sui molari di tutti i bambini di 6/7 anni. Dopo aver sigillato indiscriminatamente i denti di tutti quei bambini, rivedendoli negli anni e visitando i loro coetanei di aree limitrofe non “sigillate” abbiamo capito che avevamo sprecato i soldi della comunità; occorreva procedere solo sui soggetti a rischio.
Al giorno d’oggi rimango perplesso di fronte a quei progetti che prevedono la sigillatura “di massa” come fosse una panacea quando non è che un mezzo da usare con cognizione di causa e che va monitorato nel tempo.
Nel nostro Centro è dal 1984 che ci occupiamo di prevenzione. I sigillanti non sono per tutti, ma solo per i soggetti a rischio come è stato sottolineato nelle nuove linee guida dei Lea nazionali alla cui stesura abbiamo contribuito. Così vengono utilizzati nel nostro Centro e i soggetti che ne beneficiano vengono richiamati periodicamente per controllarne l’efficienza. Questo è un approccio corretto al problema che consente di ottimizzare le risorse disponibili.
Quindi, sì alla prevenzione, ma mirata.
Per fare prevenzione ci vuole un’istituzione di riferimento.
A un’azione impattante nella comunità deve corrispondere una verifica dell’efficienza stessa, ma soprattutto le famiglie devono sentirsi tutelate da un riferimento scientifico e clinico per la salute orale dei propri bambini.
No ai progetti “mordi e fuggi” che non hanno valore in termini di salute e rappresentano uno spreco di risorse economiche. Come responsabile di una struttura pubblica devo raggiungere un equilibrio tra costi e benefici, cercando di interessare la maggior parte della popolazione con i fondi assegnati. Per fare prevenzione della carie non vedo altra soluzione se non puntare al coinvolgimento delle scuole dell’infanzia come da anni stiamo facendo nella nostra Asl . Ogni anno dei 7500 bambini frequentanti le nostre 88 scuole dell’infanzia ne coinvolgiamo un terzo educandoli e motivandoli a una quotidiana igiene orale. In questo modo ogni bimbo durante i tre anni del proprio percorso scolastico alle materne viene approcciato dal nostro personale.
Vede, la medicina segue delle mode e le mode hanno le loro “parole magiche”: prevenzione è una di queste. In realtà occorre chiedersi che cosa voglia dire “fare prevenzione” perché la prevenzione dentale è di per sé semplice, poco costosa e altamente efficace: basta dare a un bambino uno spazzolino e un dentifricio e abituarlo fin da piccolo a usarli in modo che quel gesto entri nel palinsesto della propria quotidianità.
Questa è la finalità del nostro “fare prevenzione”.
Torniamo alla sua affermazione fatta al Collegio dei Docenti. Veramente pensa che senza carie il dentista non avrà più lavoro?
Il ragionamento è lineare: se scompare la carie, scompare la principale causa di terapia. Le malattie della bocca sono due: la carie e la piorrea. Senza carie sparisce anche tutto l’indotto della conservativa, dell’endodonzia, della riabilitazione implantologica e protesica. Quindi senza carie ci troviamo a gestire bocche sane. Rimangono la malattie parodontali e le richieste estetiche della popolazione che diventano via via più pressanti. Dicevamo prima che negli ultimi decenni è cambiato il modo di intendere l’odontoiatria. Negli anni ‘70 toglievamo denti e realizzavamo protesi. Oggi la gente invecchia con i propri denti e il dentista non fa altro che seguire un dente che invecchia con la persona. Questo ha portato a curare altre patologie, indubbiamente meno gravi e meno “devastanti” della carie. Oggi per fotografare un giovane molare permanente distrutto dalla carie da mostrare ai miei studenti mi indirizzo più facilmente alla bocca di un bambino immigrato; vent’anni fa queste erano situazioni che quotidianamente capitavano invece tra bambini italiani.
GdO 2008; 12
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