La Legge n. 24/2017 (più noto come Ddl Gelli) in tema di sicurezza delle cure e della persona assistita nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie ha introdotto, indubbiamente, una serie di importanti novità, tali da incidere direttamente sul concreto svolgersi dell'attività dei professionisti in ambito sanitario.
Che cosa è cambiato, nello specifico, per gli odontoiatri e gli igienisti dentali che operino all'interno di strutture complesse (quali ambulatori o cliniche)?
Cerchiamo di capirlo assieme.
La regola generale - introdotta dall'art. 7 della Legge n. 24/2017 - è quella secondo la quale la struttura sanitaria che si avvale della collaborazione di professionisti sanitari (pur se non dipendenti dalla struttura stessa) risponde del danno da questi cagionato e ne risponde contrattualmente.
Per le strutture sanitarie, dunque, poco è cambiato in questo senso, dal momento che, anche prima della riforma, le stesse erano chiamate a rispondere dell'operato dei propri collaboratori secondo la medesima disciplina.
Il cambiamento sostanziale riguarda, invece, la responsabilità dei collaboratori nei confronti dei pazienti, dal momento che, oggi, questi sono chiamati a rispondere extracontrattualmente del danno cagionato (contrariamente alle regole vigenti in precedenza).
Al di là della formale individuazione del tipo di responsabilità, ciò che importa rilevare sono le differenti conseguenze: mentre, infatti, nel caso della responsabilità contrattuale, l'onere di provare di avere agito bene grava sul sanitario e l'azione finalizzata a ottenere il risarcimento del danno si prescrive in 10 anni, nel caso della responsabilità extracontrattuale è il paziente a dover provare che il sanitario ha agito male, con un termine di prescrizione di 5 anni per la relativa azione.
L'unica eccezione alla regola della responsabilità extracontrattuale riguarda l'ipotesi in cui il paziente abbia un rapporto contrattuale diretto con il paziente (che, cioè, abbia scelto di rivolgersi proprio a quel medico o a quell'odontoiatra, pur se operante all'interno di una struttura complessa): in tal caso, infatti, il sanitario risponde nei confronti del paziente a titolo di responsabilità contrattuale, con tutte le conseguenze che abbiamo visto sopra.
Il discrimine, dunque, è rappresentato dalla scelta del paziente: se il paziente si rivolge a una struttura la quale poi, a propria volta, lo indirizza su un proprio collaboratore (cosa che avviene, tipicamente, all'interno delle cliniche odontoiatriche più grandi), allora al professionista si applica il regime di responsabilità extracontrattuale (come previsto dalla L. n. 24/2017); se, invece, il paziente si rivolge direttamente al professionista - e, dunque, instaura direttamente con questo un rapporto di cura - il sanitario deve rispondere secondo le vecchie regole (quelle della responsabilità contrattuale).
I professionisti sanitari che collaborino con una struttura (ad esempio gli odontoiatri o anche gli igienisti dentali che lavorino all'interno di una clinica odontoiatrica) devono però prestare attenzione anche a un ulteriore aspetto: l'azione di rivalsa che la struttura sanitaria, condannata a risarcire il danno nei confronti del paziente, può esercitare nei confronti del professionista - collaboratore che si sia reso materialmente responsabile dell'inadempimento, per recuperare da questi quanto corrisposto.
L'art. 9 della L. n. 24/2017 prevede che questa azione possa essere esercitata soltanto laddove l'inadempimento del professionista sanitario sia stato caratterizzato da dolo (ossia con volontarietà) oppure da colpa grave (ossia grave imprudenza, grave negligenza o grave imperizia), entro 1 anno dall'avvenuto pagamento.
Come fare per determinare quando sussistono gli estremi per la rivalsa?
Una soluzione potrebbe essere quella di ragionare sul tema in sede di redazione del contratto di collaborazione professionale, al fine di definire in maniera circostanziata, ad esempio, quali siano le condotte del collaboratore in presenza delle quali è da ritenersi ricorrente quella "colpa grave" che la norma pone a fondamento della possibilità per la struttura di rivalersi nei confronti del professionista.
E, in tal senso, potrebbero essere considerati rilevanti non soltanto le gravi inadempienze del sanitario sotto il profilo clinico ma anche, ad esempio, le gravi inadempienze di carattere organizzativo (tenuta della cartella clinica, modalità di informazione e raccolta del consenso del paziente, ecc.).
Una corretta e oculata redazione del contratto di collaborazione professionale, dunque, attuata sotto il consiglio e la guida di un esperto in materia, può aiutare a semplificare la disciplina dei rapporti fra struttura sanitaria e collaboratori, specie in un settore, come quello in esame, nel quale può risultare opportuno chiarire fin da subito che cosa debba intendersi per "colpa grave" e quali condotte del sanitario debbano ritenersi rientrare nella categoria.
E ciò, evidentemente, allo scopo di chiarire, semplificare e rendere più fluidi i rapporti di collaborazione professionale.
A cura di: avv. Silvia Pari, Studio Legale Stefanelli & Stefanelli
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