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31 Maggio 2007

"Speaker's corner" - Curate gli ultimi

di Cosma Capobianco


Kabuki, Moebius eLesch-Nyhan non sono grandi celebrità nel mondo dentale, almeno non tanto quanto Brånemark, Schilder e Martignoni. Eppure c’è chi deve misurarsi con loro tutti i giorni con pazienza e comprensione, tanto più se si lavora in un ospedale che per molti genitori, meno fortunati di altri, rappresenta l’ultima speranza.
E’ quello che fanno Enrico Calcagno e i suoi colleghi in servizio al Gaslini di Genova dove si dedicano da molti anni anche alla cura dei bambini affetti da malattie genetiche, alcune delle quali rarissime.

Come ha incominciato a occuparsi di pazienti con sindromi genetiche?
Avendo iniziato a lavorare in un ospedale come il Gaslini era inevitabile occuparsi di bambini con problemi del genere. All’inizio il nostro reparto, diretto da Federico Ghezzi, si occupava per lo più delle sindromi allora più conosciute come le displasie ectodermiche; poi è stato un crescendo: con l’affinarsi delle diagnosi genetiche, se ne scoprono continuamente di nuove. Ora, fra gli oltre 1.900 pazienti che seguiamo sotto la direzione di Roberto Servetto, succede sovente di registrare una nuova diagnosi geneticamente più precisa dal punto di vista sistemico.

Quindi è stata una necessità più che una scelta?
Sì, ma mi sono adeguato volentieri, grazie anche al supporto dei colleghi del nostro Istituto e al dialogo con i colleghi dell’Ospedale Galliera e ai preziosi contatti con i pionieri della Società Italiana di Odontostomatologia per pazienti con Handicap.

Un buon dentista deve avere pazienza, uno che cura pazienti difficili deve essere un “santo”?
No, semplicemente deve conoscere bene la propria materia e sapere rassicurare paziente e familiari. Il bambino, anche con un forte deficit psichico, capisce subito che tipo è il dentista, percepisce il suo atteggiamento. Mi capita quotidianamente di sentirmi gratificato dai loro sguardi, abbozzi di sorriso, gesti: sono molto espressivi. E poi si vede che a ogni appuntamento sono sempre più tranquilli e collaboranti.

E i familiari?
Il “pericolo” maggiore è proprio l’ansia dei genitori, la stanchezza di vedere il figlio soffrire, quasi non sperano più che possa non soffrire dal dentista. Ora per fortuna abbiamo anche due psicologhe che ci aiutano ad aiutarli.

In più di vent’anni di clinica, qual è il ricordo più bello…
Un bambino siciliano con displasia ectodermica: aveva un solo dente in bocca e il morale a terra perché era lo zimbello della scuola: riuscimmo a ridargli serenità e l’ho visto proseguire gli studi fino all’università.

e quello più brutto…
un bambino leucemico in stato terminale: desiderava tanto avere l’apparecchio come i suoi compagni di scuola.
Gli prendemmo l’impronta sull’ambulanza pochi giorni prima che morisse.

Finiamo la nostra conversazione parlando di tutte le altre persone che, con dedizione e modestia, contribuiscono all’opera di Calcagno e colleghi, come il tecnico di radiologia che riesce a eseguire le panoramiche su pazienti impossibili o le igieniste dentali che assicurano la migliore igiene per quel bambino o le dolcissime infermiere che coadiuvano tutti quanti.
Tutta gente che non fa notizia: in prima pagina pare esserci posto solo per la malasanità.


GdO 2007; 9

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