Dalla 2D alla diagnostica 3D, imparare a dimenticare una visione diagnostica e apprenderne un’altra. L'esperienza di Daniele Benedetti Forastieri e Daniele Godi
Oggi è possibile indurre un profondo cambiamento nei processi di valutazione della componente di difficoltà e di rischio di un caso attraverso l’apprendimento della lettura dei dati 3D.
A causa del pluridecennale utilizzo di esami 2D, accade che un esame rx endorale, o ancora peggio una OPT, generino una diagnosi istintiva e iniziale, cioè “veloce”, che ne avvalora l’obiettività.
Successivamente, la valutazione dello stesso caso con un dato 3D induce cambiamenti di diagnosi, e quindi di terapia, con un procedimento mentale che è “lento” perché dovuto a un’analisi di una quantità di dati maggiore e con la quale si ha meno confidenza.
Con la formazione e l’esperienza il procedimento “lento” diventa gradualmente “veloce” perché l’esame 2D viene sminuito di valore dai nuovi sistemi di valutazione dei dati 3D.
E ci troviamo a fare pensieri “veloci” basati su dati che prima richiedevano tempo per essere elaborati dal nostro sistema cognitivo.
Vediamo un caso di un riabilitazione totale superiore su 8 impianti con carico immediato sviluppato partendo dalla Cone-Beam 3D NewTom GiANO HR Professional.
Il libro “Pensieri lenti e pensieri veloci” del 2012, scritto dallo psicologo Daniel Kahneman che ha ricevuto l’onore di un Nobel nel 2002 per l’economia, spiega chiaramente quali sono e come funzionano i due fondamentali meccanismi che la mente umana segue durante i processi decisionali.
Da una parte il fast thinking cioè l’intuito, il pensiero immediato.
Dall’altra lo slow thinking cioè la logica, la scelta meditata.
Kahneman compone una mappa completa della struttura e delle modalità di funzionamento del pensiero, fornendo fondamentali suggerimenti per contrastare i meccanismi mentali “veloci” che più probabilmente ci portano a sbagliare e sollecitare quelli “lenti” che ci aiutano a ragionare.
Introduzione
Al di là dello stupore che una tecnologia così innovativa genera in chi la scopre, certamente la categoria odontoiatrica vive da almeno 10 anni la possibilità di cambiare totalmente approccio verso molti dei casi che comportano rischi operativi e la necessità di conoscere correttamente l’anatomia di siti anatomicamente complessi.
Vantaggi indubbi derivano dalla conoscenza del razionale che c’è dentro la macchina.
Chiacchiero con uno dei quattro personaggi che hanno cambiato le cose dalla iniziale tomografia a tomografia con raggio conico.
Coautore di questo articolo, mi racconta: “Nella mia attività di formatore ho accompagnato centinaia di odontoiatri dalla diagnostica 2D alla diagnostica 3D, e il punto critico da superare non è mai stato il software o la complessità del dispositivo, ma il dimenticare una visione diagnostica e apprenderne un’altra".
Il primo passo di questo percorso consiste nel valutare l’anatomia, che per formazione e storicità è percepita in due dimensioni, nelle sue reali tre dimensioni, aiutati da rendering 3D (figg. 1-3) che ci permettono di collocare nello spazio le sezioni del volume (figg. 4, 5) ottenute dal software. I tagli sono, infatti, lo strumento d’elezione per esplorare il volume acquisito e per effettuare misure accurate e certe”.
Fig. 1 Rendering 3D frontale
Fig. 2 Rendering 3D destra del paziente
Fig. 3 Rendering 3D sinistra paziente
Fig. 4 Immagine multiplanare con dettagli cresta area 11 e 12
Fig. 5 Immagine multiplanare con dettagli cresta area 21 e 22
Questo “salto” concettuale ha consentito alla nostra categoria di poter vedere immagini limpide e di facile interpretazione e, inoltre, possiamo tenere nei nostri ambulatori direttamente il macchinario scegliendo quali pazienti esaminare nel rispetto delle norme e di principi semplici e chiari.
Ma discuteremo in questo lavoro soprattutto di come la lettura dell’esame cambi i meccanismi dell’analisi che, attraverso percorsi quasi inconsci, riusciamo a sviluppare riguardo a situazioni prima inquadrate con ottica diversa.
Il primo passaggio dato dalla disponibilità dei dati Cone Beam, e che dobbiamo necessariamente fare, è quello di valutare un individuo, che nella nostra mente “esiste” in 2 dimensioni quasi sempre come conseguenza della formazione accademica, nelle sue reali 3 dimensioni.
Nessuno strumento può restituirci questo punto di vista più di un volume che possiamo sezionare come vogliamo, inizialmente magari orientandoci con i rendering.
Sapendo con certezza che un rendering non è un dato sul quale fare misurazioni: queste, infatti, vanno calcolate esclusivamente sulle ricostruzioni multiplanari.
La conseguente esperienza acquisita ha cambiato profondamente il mio approccio verso la grande maggioranza dei casi che valuto e che attraverso la comprensione e l’uso di questi dati hanno un’asticella di difficoltà che si è progressivamente alzata sempre più.
Questo spostamento in alto dei limiti non è controbilanciato dalla riduzione del coefficiente di rischio finale. Infatti, interventi prima neanche immaginabili oggi sono possibili. Quindi comunque alziamo anche l’asticella del rischio.
Ciò sempre al fine di risolvere situazioni che per un paziente fanno la differenza tra una soluzione ad alto valore di confort post-operatorio, qualità della vita a guarigione avvenuta e fattibilità.
Esiste anche un aspetto rilevante legato al fatto che possiamo trattare più pazienti.
Principi generali da rispettare quando si pone la scelta se avere o non avere un esame 3D
Nel caso di possesso della macchina bisogna rispettare le norme di radioprotezione richiamate nel D.Lgs. 101/2020 del 31/07/2020, contenente le tre “raccomandazioni” riguardo al singolo esame che deve essere:
Affrontare casi chirurgicamente complessi, ma anche endodontici od ortodontici, valutando immagini 3D anziché 2D consente di individuare con “consapevolezza pre-operatoria” situazioni insidiose altrimenti evidenti solo “intra-operatoriamente” e non sempre.
E tra l’altro, in un’alta percentuale di casi alcune insidie non si palesano che a danno già verificatosi.
Semplifichiamo con un esempio; quando un paziente si presenta con un ottavo che ha le radici in un rapporto di contiguità con il canale mandibolare, iniziamo cercando di capire:
Questo genere di considerazioni va esteso:
In realtà il numero di casi per i quali i dati 3D sono sempre più necessari cresce man mano che acquisiamo conoscenza.
Esponiamo un caso di edentulia completa in una paziente molto giovane ma priva di denti da più di 20 anni che verrà finalizzato attraverso 8 impianti posizionati con guida chirurgica software assistita con approccio “non flapless”.
L’esame Cone Beam 3D è stato acquisito utilizzando il NewTom GiANO HR Professional e con il FOV (Field Of View, ovvero dimensioni del volume) di 13x10 cm.
Il grande salto avviene mentalmente nel momento in cui riusciamo a “guardare” il paziente immaginandolo già in 3D, cioè immaginando gli effetti del riassorbimento centripeto del mascellare superiore, la riduzione di dimensione volumetrica riferita ai giusti piani spaziali (corono-apicale nelle figg. 6-8 e bucco-palatale nella fig. 9), consci che non possiamo invece immaginare la densità della componente midollare che condizionerà fortemente la possibilità di carico immediato.
Fig. 6 Dettagli emiarcata superiore destra area premolari
Fig. 7 Dettaglio canale interincisivo mediale al 21
Fig. 8 Dettagli molare emiarcata superiore sinistra
Fig. 9 Serie di tagli panoramici con spessore 1 mm
Con questa configurazione cerebrale possiamo scegliere “come indagare” ed anche come aiutare il paziente ad affrontare un momento che causa quasi sempre uno stato di ansia ed anche una particolare attenzione nel valutare il nostro grado di sicurezza rispetto allo specifico loro caso.
Naturalmente l’esame volumetrico non risolve da solo un caso semplice o complesso. Inoltre deve essere eseguito correttamente, sarebbe necessario avere una macchina che abbia una esposizione con poca interpolazione (cioè che faccia un giro completo del cranio emettendo uno spot per ogni grado della rotazione e non passi da 360* a 200* o poco più “inventando” ciò che non ha acquisito come informazione), che abbia un sensore di alta qualità per non avere bisogno di software di alterazione delle immagini a scopo migliorativo dell’iconografia. L’ideale è una macchina che abbia una tale qualità da fornire un RAW Data completo fornendo la “verità” rispetto alla immagine bella ma alterata informaticamente per essere bella.
Che non ricorra a stitching per creare un volume completo, che in automatico dosi la emissione senza lasciare alla iniziativa dell’operatore, che consenta facilità nell’uso dei dati. Come sempre nello scegliere in quale centro indirizzare un paziente per eseguire questo esame, o come scegliere la macchina giusta da comprare è necessario l’aiuto di professionisti competenti, capaci di trasmettere le informazioni indispensabili nel formato adatto, non guidati solo dall’ obiettivo della vendita del “prodotto” che rappresentano ma onesti intellettualmente. La nuova consapevolezza dovuta alla confidenza con questi dati 3D consente anche di avere una capacità critica molto migliore verso approcci clinici, articoli di letteratura, e cultura in genere.
Conclusioni
Una tecnologia così sofisticata nella sua parte hardware ma così semplice da usare consente di diventare il miglior metodo di acquisizione culturale a condizione, ovviamente, di essere disposti ad una curva di apprendimento che dipende realmente dalla determinazione di ognuno di noi a migliorarsi. Cioè quello che accade quando si inizia ad usare un dato volumetrico è che il pensiero istintivo "veloce", al quale siamo abituati e che si basa sulla alterazione di dati dovuta alla mancanza completa delle informazioni riguardo uno dei tre piani che costituiscono un volume, cambia e diventa un pensiero razionale "lento".
Gli autori del Lavoro:
Daniele Benedetti Forastieri: Studio Dentistico Benedetti Forastieri-Guarrella (Senigallia)
Daniele Godi: Digital Workflow Expert presso Revello S.p.A. (Verona)
Con il contributo non condizionate di NewTom
Per informazioni: NewTom
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