Tra i punti della riforma costituzionale per cui gli italiani sono chiamati ad esprimersi il 4 dicembre c'è anche la modifica del Titolo V della Costituzione, quello modificato nel 2001, che regola il rapporto tra lo Stato e tutte le autonomie locali. Per quanto riguarda la sanità la modifica introdotta 15 anni fa l'ha inserita tra le "materie concorrenti" ovvero quei settori in cui lo Stato detta le regole generali ma sono le Regioni a legiferare in materia.
Con la vittoria del Si il Governo tornerebbe a legiferare in abito sanitario, mentre con la vittoria del No nulla cambierebbe dell'attuale sistema.
Abbiamo voluto chiedere ai rappresentanti dei principali sindacati del settore odontoiatrico ed odontotecnico, ma anche all'Ordine ed all'Università il loro punto di vista sugli effetti che la modifica dell'articolo V ha avuto nel settore: in particolare sui Lea odontoiatrici, sulle norme che regolano l'odontoiatria come le autorizzazioni.
Di seguito il parere del presidente ANDI Gianfranco Prada
La riforma del Titolo V della Costituzione attuata dal Governo di Centro-Sinistra nel 2001 aveva lo scopo politico di contrastare le richieste di "federalismo spinto" della Lega Nord, allora in forte ascesa nel panorama politico, e fu presto riconosciuta come fallimentare dagli stessi autori.
L'aver introdotto la "competenza concorrente" tra Stato e Regioni in parecchie materie ed ambiti legislativi si rilevò presto un elemento di complicazione burocratica e soprattutto di moltiplicazione di spesa, con il necessario e costante intervento della Corte Costituzionale per dirimere conflitti di competenze.
L'eventuale vittoria del Si riporterebbe certamente allo Stato come competenze esclusive alcune materie strategiche per lo sviluppo economico del Paese come le infrastrutture, il trasporto dell'energia, la tutela e la sicurezza del lavoro, la programmazione sanitaria ed i profili professionali.
Il discorso specifico della Sanità merita certo un approfondimento.
Per quanto attiene agli aspetti generali non può che essere vista di buon grado una applicazione più uniforme dei Lea, sia in ambito della salute generale che di quella odontoiatrica. Non si capisce perché aver avuto la sfortuna di nascere in una Regione meno ricca e meno organizzata debba comportare "viaggi della speranza" per farsi curare nelle strutture di eccellenza, con costi che poi vengono comunque posti a carico della Regione di provenienza. Certo va evitato l'impoverimento delle Regioni virtuose che non devono essere penalizzate.
Così come abbiamo visto Lea odontoiatrici, in teoria obbligatori per quel minimo di prestazioni base e per le fasce più vulnerabili in ambito sanitario e sociale, non applicati in diverse Regioni, soprattutto del Sud.
Oggi abbiamo poi la parte "variabile" dei Lea odontoiatrici, lasciata alla scelte delle singole Regioni, che hanno creato sistemi sanitari talmente differenti (alcune Regioni garantiscono persino l'implantologia) che disorientano gli stessi cittadini, che non sanno cosa possono richiedere alle strutture pubbliche ed a quali costi.
Cercare di dare garanzie di uniformità in questo ambito, garantendo almeno quelle prestazioni essenziali di prevenzione e cura alle fasce più deboli, e' certamente un passo in avanti, anche se resta il dubbio sulla capacità di taluni amministratori regionali di saper applicare correttamente le legge e soprattutto di creare quelle strutture oggi fatiscenti o inesistenti, vista anche la carenza di risorse.
Diverso il discorso in merito alle norme riguardanti invece le autorizzazioni sanitarie all'apertura degli studi odontoiatrici: abbiamo recentemente vissuto l' esperienza del tentativo di dare uniformità e criteri minimi in tal senso ed ANDI è dovuta intervenire addirittura con un ricorso al TAR per bloccare un provvedimento nato dalla Concertazione tra Ministero Salute e Regioni che rischiava di produrre gravi danni, soprattutto agli studi odontoiatrici esistenti ed autorizzati grazie a norme costruite dalle singole Regioni.
Questa esperienza insegna che intervenire ex-post è davvero difficile e soprattutto mettere d'accordo realtà regionali differenti, con esigenze consolidate, è quasi impossibile.
Ai Tavoli ministeriali ai quali abbiamo partecipato spesso le responsabilità sulle scelte vengono rimpallate tra Ministero e Regioni ed in questo modo la professione risulta indebolita e meno ascoltata, in quanto gli interlocutori non sono unici.
Stesso problema si sta presentando con il nuovo profilo per la creazione della figura professionale della Assistente Dentale: una infinita serie di rimpalli tra Regioni e Ministero, con le nostre richieste ad esempio per il riconoscimento di chi già lavora ascoltate dal Ministero e con difficoltà accolte dalle Regioni ed ora con l'incognita di ulteriori modifiche da parte della Conferenza Stato Regioni.
Ritengo quindi che avere un interlocutore unico ed autorevole, come il Ministero della Salute con poteri rafforzati, potrebbe costituire un beneficio per le battaglie a favore della nostra professione.
Infine un accenno alla vicenda "nuovo profilo dell'odontotecnico": certamente la riforma del Titolo V del 2001 bloccò all'ultimo minuto l'entrata in vigore di un profilo che avrebbe creato una figura di odontoprotesista che si sarebbe assurdamente sovrapposta, con grave danno per la salute dei cittadini e magari qualche risparmio per i costi dello Stato, a quella dell'odontoiatra.
Da allora in poi, grazie alla legislazione concorrente in materia, si è sempre riusciti a bloccare l'approvazione di norme non condivise col mondo odontoiatrico. Il futuro, vinca o meno il Si al Referendum, può essere soltanto nella creazione di un profilo che valorizzi le competenze odontotecniche nell'ambito della costruzione delle protesi. La ricerca di inserire nel profilo competenze sanitarie troveranno ANDI in prima linea nel contrastarle, qualunque sia il risultato referendario.
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