Le linee guida di pratica clinica si muovono all’interno del modello di medicina basata sull’evidenza. Se autorevoli, possono rivelarsi uno strumento straordinario. Non solo per la salvaguardia della salute del paziente. Abbiamo approfondito l’argomento con Lorenzo Moja, Dipartimento di scienze biomediche per la salute di Milano.
All’interno del modello di medicina basato sull’evidenza, le linee guida rappresentano il punto di incontro tra quanto emerge dai trial clinici e dalle meta-analisi e il mondo della pratica clinica.
“Quando sono nate avevano la funzione di migliorare la qualità delle cure” spiega Lorenzo Moja. “Cercavano di stabilire quali fossero le opzioni terapeutiche migliori, mediando tra novità apportate dalla ricerca e interventi consolidati e applicabili.”
Qual è stata l’evoluzione successiva?
La funzione si è modificata nel corso del tempo. Proprio l’ultimo impianto giuridico nazionale approvato dal Parlamento, che norma le responsabilità dei professionisti sanitari, ha innalzato le linee guida al ruolo non più solo di miglioramento della qualità delle cure, ma a strumento alla base della sicurezza delle cure che abbraccia, ora, la salvaguardia del paziente.
Una modifica rilevante che ha delle importanti ricadute sulla responsabilità dell’operato del medico.
Come si è arrivati a questa trasformazione?
Il passaggio da qualità a sicurezza è una novità nel panorama internazionale: la sicurezza del paziente diventa per la prima volta un diritto. Molto è dovuto al numero crescente di cause contro medici e ospedali.
Le linee guida individuano, secondo l’impianto giuridico, le prassi virtuose, aiutando a delineare gli spazi all’interno dei quali i medici operano in sicurezza, loro e dei pazienti.
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doi: https://doi.org/d.cadmos.01.2019.02
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