02 Maggio 2019

Il posizionatore intermascellare

Caso clinico

Andrea Nicali

Obiettivi   Il carico immediato implantare rappresenta una terapia sicura e di larga diffusione. La quasi totalità dei passaggi è stata migliorata negli anni da diversi protocolli sia analogici che digitali.

Tuttavia, fino a oggi non erano disponibili strumenti che aiutassero il clinico nel mantenimento e nel trasferimento dell’occlusione studiata e realizzata in fase di pianificazione. Gli sforzi della ricerca in questo senso sono volti all’eliminazione dei passaggi empirici così da aumentare la predicibilità del risultato indipendentemente dalla mano dell’operatore.

In questo articolo presentiamo il dispositivo chiamato posizionatore intermascellare (PI), che permette di avere un riferimento certo di posizione anche nei casi in cui la mandibola venga sottoposta a un esteso trattamento resettivo del processo alveolare residuo.

Il razionale del PI consiste nel registrare la posizione della sinfisi mentoniera rispetto agli incisivi superiori durante la massima intercuspidazione, prima della procedura implantare.

Materiali e metodi  Il PI consiste in una forcella che mantiene la relazione tra mandibola e mascellare superiore anche dopo aver perso tutti i riferimenti occlusali. Il PI viene realizzato alla poltrona subito prima di procedere all’intervento chirurgico implantare.

Per la realizzazione della forcella occorrono:

  • un gig di resina aderente alla superficie vestibolare e incisale degli incisivi superiori;
  • un filo di titanio del diametro di 1,5 mm (barra in titanio D 1.5/L150 grado 2, Dentsply Sirona, Italia) che verrà opportunamente piegato;
  • della resina acrilica per saldare insieme filo e gig (pattern resin GC);
  • una fresa cilindrica spiraliforme millimetrata di diametro identico al filo.

È importante che il paziente abbia un’occlusione stabile e riproducibile e deve esserci un overjet positivo, anche minimo, degli incisivi superiori. Per costruire il PI viene praticata un’incisione lineare mediana sulla sinfisi e scheletrizzata la corticale esterna, vengono praticati due fori di 1,5 mm di diametro, in linea con il piano sagittale e distanti l’uno dall’altro 5 mm, profondi 8 mm e paralleli tra loro.

Nel più caudale dei due fori viene inserito il filo in titanio e lo si piega per farlo salire verticalmente verso il gruppo incisivo superiore che porta il gig in resina. A questo punto il filo viene piegato a T e poi fatto ridiscendere verso i fori nella sinfisi. L’ultima piega è quella che permette l’inserimento del filo nel foro rimasto libero. L’eccesso di filo viene tagliato e la forcella viene definitivamente alloggiata.

A questo punto il gig viene solidarizzato alla forcella mediante resina acrilica invitando il paziente a mantenere la massima intercuspidazione dei denti fino al completo indurimento della resina stessa.

Al termine della chirurgia viene nuovamente posizionata la forcella e verificata la stabilità e riproducibilità dell’ingaggio dei denti sul gig. Il bloccaggio della protesi a carico immediato avviene invitando il paziente a mantenere l’occlusione coadiuvata dal PI e dalla dima di masticazione.

Risultati e conclusioni  La forcella così ottenuta è stabile e rigida a sufficienza per permettere la riproduzione dell’occlusione iniziale del paziente. Il filo in titanio utilizzato è sufficientemente rigido da resistere alle forze masticatorie in fase di bloccaggio della protesi senza deformarsi.

Il suo appoggio scheletrico e dentale non è alterato dalle modificazioni a cui i tessuti molli e duri vanno incontro durante la chirurgia. I movimenti verticali e di lateralità sono contrastati e ridotti al minimo dalla rigidità del sistema e dall’estensione del gig.

Significato clinico  Il PI nella nostra pratica clinica si è dimostrato efficace, semplice da realizzare e poco costoso e, con un minimo dispendio di tempo, permette maggiore accuratezza nel trasferimento dell’occlusione con grande risparmio di tempo per i ritocchi occlusali finali.

Per continuare la lettura scaricare l'allegato.

doi: https://doi.org/10.19256/d.cadmos.05.2019.09




 
 
 
 
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