30 gennaio 2020: l’Organizzazione mondiale della sanità dichiara “l’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale” per il nuovo coronavirus SARS-CoV-2. A quella data i contagiati erano 7834 (il 99% in Cina) e 170 i morti. La decisione arriva dopo i primi casi di trasmissione del virus fuori dal paese. Dal 2005 è la sesta volta che l’Oms assume questo indirizzo dopo l’influenza suina (2009), la poliomielite (2014), l’ebola (2014 e 2019) e lo zika (2015).
In seguito, l’11 marzo, con oltre 100.000 casi di infezione nel mondo e 4000 decessi, l’OMS ha dichiarato che l’infezione da SARS-CoV-2 è una pandemia. Un’emergenza ancora in corso che accende tuttavia i riflettori su un universo parallelo di infezioni che incontriamo nel quotidiano e verso le quali dovremmo alzare maggiormente l’asticella dell’attenzione e della prevenzione.
Abbiamo approfondito l’argomento con Stefano Petti, professore ordinario al Dipartimento di sanitàpubblica e malattie infettive, Laboratorio odontoiatria dell’Università “La Sapienza” di Roma.
Professore, perché si occupa di COVID-19?
È nato tutto da una necessità: rispondere alle domande dei colleghi nelle prime settimane dell’emergenza. Per la mia “doppia anima” professionale, docente al Dipartimento di malattie infettive e salute pubblica “La Sapienza” e odontoiatra, mi chiedevano indirizzi di comportamento, best practices da attuare nel lavoro, in studio o nelle Asl.
Ho così steso un elenco di regole generali. In passato, tra il 2016 e il 2017, ero stato membro del Gruppo di lavoro del Ministero della salute per la revisione delle Linee Guida per il controllo della legionellosi in odontoiatria. Nonostante il documento rilasciato nel 2015 fosse già abbastanza stringente per i dentisti, volevano inasprirlo ulteriormente e mi sono opposto.
Lei ha una posizione “controcorrente” sul coronavirus: il clima di emergenza sarebbe sproporzionato…
Le mie considerazioni poggiano sui numeri. Per un epidemiologo trovarsi di fronte a una situazione anomala significa che è in corso qualcosa che sconvolge le normali statistiche. In un singolo paese o nel mondo.
Perché un’epidemia deve provocare un cambiamento sul normale andamento dell’incidenza e della mortalità di una malattia.
Non sta avvenendo questo con il coronavirus?
Assolutamente no. È un’infezione che al 17 marzo ha fatto registrare 180.000 casi di infezione e 7400 decessi in tutto il mondo. Se approfondiamo le statistiche della Cina, scopriamo però che le infezioni respiratorie profonde, polmoniti e broncopolmoniti, rappresentano l’ottava causa di morte nel paese.
L’incidenza è stimata tra il 5 e l’11 per mille, ogni anno. Vuol dire che in un paese di 1 miliardo 400 milioni di persone si registrano ogni anno 14 milioni di infezioni respiratorie e muoiono 200 mila persone. Quindi, il vero problema è la trasmissione dell’infezione.
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doi: https://doi.org/10.19256/d.cadmos.04.2020.02
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