Negli elementi caratterizzati da una grave perdita di sostanza, le modalità di fallimento più frequenti sono di varia natura e vanno dall’infiltrazione batterica fino alla frattura per fatica della struttura sana residua che, se coinvolge l’asse lungo radicolare, determina la perdita dell’elemento stesso.
Gli studi prospettici di Sorensen e Martinoff, infatti, dimostrano che un approccio conservativo sui tessuti duri sani residui dell’elemento dentale insieme a un progetto funzionalmente guidato delle geometrie occlusali sono determinanti per la longevità a medio e lungo termine dei nostri restauri.
La prognosi può essere condizionata negativamente anche da fattori endodontici e parodontali. Nei pluriradicolati, infatti, la mantenibilità parodontale può essere complicata a causa della loro anatomia radicolare favorevole all’accumulo di placca batterica, quando siano presenti lesioni delle forcazioni. In questi casi, tali elementi sono caratterizzati da una percentuale maggiore di insuccesso.
Nelle lesioni di primo grado la mantenibilità igienica dell’elemento con tecniche non chirurgiche risulta possibile ma più complessa, soprattutto se la distanza inter- radicolare è ridotta. Nelle lesioni di secondo grado, il mantenimento risulta estremamente difficile tanto da associarsi a un cospicuo aumento della profondità di sondaggio in un periodo di tempo anche limitato (un anno secondo Loos et al.).
Se il pluriradicolato è localizzato a livello mandibolare, può essere tentato un approccio chirurgico ricostruttivo (GTR) nelle situazioni meno gravi, mentre un approccio mediante rizotomia, rizectomia o tunnellizzazione è indicato nei casi di terzo grado. Nei molari superiori, nel caso di forcazioni di secondo e terzo grado, la terapia più predicibile è costituita dall’eliminazione della lesione previa rizectomia e/o rizotomia.
Dalla letteratura si evince quindi che la terapia più conservativa e predicibile delle lesioni di terzo grado a livello delle forcazioni è l’eliminazione chirurgica della forcazione stessa, con contestuale riorganizzazione geometrica dell’architettura dei tessuti parodontali, fattore essenziale per consentirne un mantenimento igienico domiciliare di alta efficacia come dimostrato dall’importante studio prospettico a dieci anni di Carnevale et al. del 1998 e nello studio retrospettico a trenta anni di valutazione di Derks et al. del 2018.
La costante ascesa dell’implantologia negli ultimi decenni porta con sé il rischio di considerare gli impianti più affidabili dei denti che richiedono un trattamento restaurativo/parodontale complesso.
È, infatti, opportuno considerare che la sopravvivenza degli impianti a 10 anni varia tra l’82 e il 94% e in nessun caso supera quella dei denti trattati endodonticamente e/o parodontalmente.
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doi: https://doi.org/10.19256/d.cadmos.01.2019.09
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