Esattamente due anni fa, nell’ottobre 2017, il governo degli Stati Uniti di-chiarava “emergenza sanitaria nazionale” un’epidemia che dal 1999 a oggi ha provocato 400 mila morti e che continua a uccidere con un rit-mo di 130 decessi al giorno.
Sono i morti da overdose da oppioidi, vittime di una storia complicata in cui sostanze capaci di dare dipendenza in maniera rapida e inesorabile hanno contribuito in modo significativo al declino dell’aspettativa di vita che per tre anni di seguito si è verificato tra i cittadini statunitensi, evento unico tra i paesi della parte più ricca del mondo. Un bambino nato negli Stati Uniti nel 2017 vivrà fino a 78,6 anni, in Italia supererà facilmente gli 82.
La storia è complicata, perché l’epidemia è il risultato di quelle che i Centers for Disease Control descrivono come tre onde distinte di morti da overdose, cominciate nel 1990 con quella da farmaci antidolorifici, a cui si è aggiunta quella da eroina degli anni ’10 e infine quella da oppioidi sintetici prodotti e venduti illegalmente iniziata nel 2013. Questi tre gruppi di sostanze hanno causato solo nel 2017 più di 70 mila morti, con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente. Una strage continua che non sembra dare segni di declino.
Una grossa responsabilità di tutte queste morti è quindi da ascrivere alle prescrizioni dei medici statunitensi, come dimostrano i numeri delle ricette per uno dei farmaci maggiormente implicati, l’OxyContin, passate da 670.000 a 6,2 milioni all’anno, nel periodo compreso tra il 1997 e il 2002. Purtroppo di questo abuso e delle sue tragiche conseguenze, sono state riconosciute responsabili aziende farmaceutiche che con metodi leciti e non hanno promosso queste sostanze, enfatizzandone i benefici, ma soprattutto minimizzandone i rischi.
L’American Dental Association ha riconosciuto il contributo dei nostri colleghi statunitensi alla crisi. Tradizionalmente grandi prescrittori di oppioidi per il controllo del dolore dentale, i dentisti US hanno deciso di autoregolamentarsi stabilendo linee di compor-tamento in grado di limitare le prescrizioni e di ridurre il rischio di dipendenza.
In Italia fortunatamente nulla di tutto questo è accaduto, e speriamo non accada mai. Questo però non significa che qualcuno non ci abbia provato, come sembrerebbero suggerire alcune cronache giudiziarie. Se siete curiosi, cercate in rete “pain league”.
Buona lettura.
Prof. Giovanni Lodi, Direttore Scientifico di Dental Cadmos
doi: https://doi.org/10.19256/d.cadmos.07.2019.01